Ha già abbattuto diversi record di copie vendute in tutto il mondo e accompagna chi lo ascolta a ripensare e magari rivalutare una vecchia storia, o riflettere su nuove opportunità sentimentali.. 25, terzo album di Adele, ha nei testi di tracce come “Hello” e “When we were young” una capacità empatica straordinaria. Richiamare l’ex di turno o voltare pagina verso nuovi amori? 

«Ciao, sono io». Suonano generici questo saluto e questo attestato combinati insieme, generici eppur così precisi che capita, a volte, che nel pronunciarli il gelo cristallizzi la gioia. Accade quando «ciao, sono io» ti rimane in gola appena lo articoli. Accade quando rischi e richiami il tuo vecchio amore dopo mesi, o anni. Chiedergli scusa è la solita, stolta e buona scusa per farlo: lo vuoi sentire perché lo rivuoi, magari prima un birrino una sera di queste, magari poi un bacio come quelli che mica hai dimenticato, e magari ricomincerete da capo. Come va, in verità, la telefonata? Lo chiami per assicurarti che stia bene, che sia vivo, però ti conosce e capisce che lo fai per ricordargli che tu stesso vivi (nascondendogli che, invece, vegeti), e per suggerirgli subdolamente che sei la soluzione sebbene lui non si ponga nemmeno il problema. Un pasticcio di cui ti pentirai fino al giorno in cui, illuminato chissà da quale canzone, o intuizione improvvisa, indifendibile ma immarcescibile, penserai che richiamarlo ancora sarà giusto, giustissimo. E il gesto geniale sarà un altro dialogo glaciale.

“Hello, it’s me. I was wondering if…”

Su un campione di 41 mila intervistati, il 65 per cento delle donne confessa di aver richiamato il proprio ex dopo aver ascoltato “Hello”, la nuova canzone di Adele. Degli uomini, ha composto il nefando numero solo il 17 per cento, morale: a essere spensierati e svogliati si vive meglio. Non del tutto. Il mio consiglio, benché queste righe introduttive suggeriscano il contrario, è di provare: fare un bel respiro e richiamarlo. La ragione non mi aiuta, ma sento che è meglio tentare che passare il tempo a tentennare. I tentativi (terapeutici) non possono essere ovviamente troppi, ecco: uno o al massimo due in un lustro. Tieni una voce piana, mantieni la calma, rimani evasivo e vola alto: se non ottieni nulla ma riagganci senza rimorsi bene, se hai fatto anche una bella figura benone, se ottieni il birrino benissimo. Lo stesso credo valga per le relazioni meno importanti e dunque ingombranti: chiamare-chattare-cincischiare oramai davvero non costa nulla, basta ricordarsi di non esagerare perché la dignità costa tantissimo (le ultime parole famose). Ogni vecchio amore, o recente flirt, corrisponde a una sagoma di legno a grandezza e distanza variabili, tu hai un numero fisso e ristretto di palle morbide (simili a quelle antistress, grosse come i tuoi organi vitali) da lanciare per colpire nel segno, poi la sagoma sale negli ingranaggi di una giostra che smette di essere divertente: puoi immaginare quanto triste sia affannarsi a cercare altre palle e tirarle a casaccio, una futilissima follia. Non vorrai ignorare che dietro c’è qualcuno che sta aspettando con un sorriso più piccolo solo dell’enorme pupazzo che ha vinto per te?

Niente metafore, utilizziamo 25, il nuovo album, presentato e aperto proprio da “Hello”. Il ritmo più movimentato del solito di “Send my love (to your new lover)”, probabilmente rinvigorisce Adele, dandole la forza di staccarsi dal suo vecchio amore (quello di “Someone like you” per intenderci). Nemmeno 4 minuti, poi si ricompone e per quasi 6 canta “I miss you”, epicamente esagerata e meravigliosamente mistica. «I want every single piece of you, I want your heaven and your oceans too» e così via. Siamo già scossi quando arriva a prenderci a schiaffi la splendida “When we were young”, a parte il distico sentito e ritrito «you look like a movie, you sound like a song». Adele si lancia: «it’s hard to win me back», e pensiamo di essere forti anche noi, «everything just takes me back to when you were there», brava ora sgridalo, «and a part of me keeps holding on just in case it hasn’t gone», bravissima dai resisti, «I guess I still care». Ma no! «Do you still care?», ma nooooooo! E si ritorna alla telefonata di chi non riesce a tagliare i fili, alla giostra di chi pensa di avere ancora palle. L’acuto immediatamente successivo ci allevia dalle pene e ci avvelena insieme.

“Remedy” regala un barlume di speranza che forse non ci convince ascoltando cantare Adele, e comunque per ora non ci interessa. Soprattutto abbiamo il vago sospetto che possa essere dedicata a un amico, o al suo pubblico, e non a un vecchio amore: no, no, no. Adele non può farci questo. Fortunatamente arriva la fantastica “Water under the bridge” che esibisce un incedere originale e irrefrenabile parlando di crisi di coppia, così ci sentiamo nuovamente a nostro agio, nel disagio. Da “River Lea” Adele si lascia trasportare e dando la colpa all’influenza del fiume vicino al quale è cresciuta, pecca (e ci piace) di presunzione pre-pentimento. «Consider this my apology, I know it’s years in advance, but I’d rather say it now in case I never get the chance». Come a dire che si porta avanti, chiedendo scusa in anticipo, adorabile. Il dramma non tarda a consumarsi giacché “Love in the dark” è un’ode all’amore impossibile o, meglio, insensato. Ma è “Million years ago” a concentrare ciò che ci rende felici con la cantantissima alle cuffie, cioè la tristezza infinita, il rimorso irrisolvibile: «I know I’m not the only one who regrets the things they’ve done […] And all I can do is watch and cry. I miss the air, I miss my friends, I miss my mother, I miss it when life was a party to be thrown». Eh no, Adele, non sei l’unica.

La penultima canzone, “All I ask“, sembra un grande classico anni ’90. Le perdoniamo quelle briciole di speranza che lascia cadere inghiottendo l’amaro boccone. «I know there is no tomorrow», come chi è sul punto di perdere l’appetito per sempre. «’Cause what if I never love again?». Ok ok ok, non facciamo i depressi duri e puri. Dopo un decalogo compatto di casistica deprimente, dopo dieci canzoni e altrettanti fazzoletti, arriva l’undicesima e ultima con la quale anche noi troviamo la forza di alzarci dal divano, sbattere il pugno contro il bracciolo, e dirci che sì, come Adele: «I wasn’t ready then, I’m ready now». “Sweetest devotion” è un inno al nuovo amore, il finale felice di un disco desolato e necessario, non certo complesso ma completo. Il titolo 25 fa riferimento, come i precedenti 19 e 21, all’età della cantante che, però, ora ne ha 27, dunque deduciamo che almeno da due anni è altro rispetto all’album. Sappiamo con sicurezza che ha trovato il fidanzato.

La nostalgia per qualcuno che abbiamo avuto e che non abbiamo più è incontrovertibile ma controllabile. Tentare non nuoce alla salute ma può nuocere alla speranza, la speranza che può, con pazienza e perizia, fare spazio a qualcun altro che oggi ignoriamo e che domani sarà indispensabile. Quante belle parole! Purtroppo stupidaggine, speranza e saggezza spesso coesistono nell’individuo che difficilmente è solo stupido o solo saggio. Più stupidi credendoci saggi, se dovessimo scegliere, quando ci s’imbambola con tal album. Mi limito, in limine, a dirvi che, infatti, mentre l’acquisto di 25 su iTunes era ancora in corso, venerdì scorso, io ho mandato il primo messaggio a un vecchio amore, durante il primo ascolto già fantasticavo in lungo e in largo, riempiendo di pitture rupestri di ricordi passati il soffitto bianco di camera mia, per poi collezionare una mezza dozzina di telefonate in appena una settimana, e non riuscire, ora che conosco a memoria l’album di Adele e che pontifico banalità sull’amore, a non guardare l’iPhone pronto per un altro pasticcio. E io i pallettoni a disposizione li ho finiti.

[Alessandro Ferraro]

Su Adele e sull’amore ultima modifica: 2015-12-01T18:56:18+00:00 da YURY