Preservare l’elemento umano: è questa la morale del documentario Sound City, in onda in questi giorni su SKY Arte. Ideato e diretto da Dave Grohl, ex batterista dei Nirvana e attuale frontman dei Foo Fighters, forse la personalità più influente nel mondo del rock odierno, Sound City racconta la storia dell’omonimo studio di registrazione di Los Angeles e prova a dipanare una volta per tutte un’annosa questione, almeno in musica: suono analogico o digitale?

 

Circa due anni fa, Dave Grohl ha pubblicato il documentario Sound City, per raccontare la storia dell’omonimo studio di registrazione angeleno, culla di alcuni dei più grandi album di tutti i tempi, e per rilanciare un dibattito acceso in America e Regno Unito, quasi inesistente in Italia. È meglio il suono analogico o digitale? Immagino che la domanda in sé non sia per nulla stimolante, ma dietro c’è qualcosa di molto più ampio, che tutti quanti tocchiamo con mano ogni giorno, accendendo radio, tv o computer per navigare in rete.

Ecco come si fanno i dischi fino agli anni ’80: i musicisti arrivano in studio, suonano i loro pezzi, li registrano in formato analogico (su nastro) provando e riprovando più volte, fino a ottenere la miglior performance possibile. Il tecnico mette insieme voci e strumenti lavorando manualmente sul nastro, compito complicatissimo, et voilà, fatica completata. La svolta è l’invenzione del compact disc: la rivoluzione digitale rende possibile registrare suoni all’interno di un computer e modificarli a proprio piacimento. La transizione è ancora in corso, ma già oggi chiunque, con una spesa contenuta e gli strumenti adatti, può emulare qualsiasi produzione musicale si senta in giro. Le voci rimangono l’unica cosa difficilmente imitabile per ora, ma sareste comunque sorpresi nell’assistere alle incisioni vocali della vostra popstar media, non proprio votate alla naturalezza e alla fedeltà nei confronti della performance reale dell’artista.

Arriviamo così al dibattito che sta tanto a cuore al carismatico frontman dei Foo Fighters, che non perde occasione per sottolineare quanto sia importante preservare l’”elemento umano” che il metodo analogico esalta. A partire dal discorso fatto sul palco della cerimonia per l’assegnazione dei Grammys 2012 fino ad arrivare al suo debutto da regista. Sound City è la risposta definitiva di Dave Grohl. Pro Analog. È la risposta giusta? Chissenefrega, direte voi. Basta che la musica piaccia. Legittimo. Ma qui non si tratta solo di musica in sé e per sé. Ci sono ragioni per cui una risposta del genere, per quanto comprensibile, può far venire i brividi all’appassionato di musica più tendente al “purismo”, passatemi il termine.

La possibilità di correggere minuziosamente la performance di un’artista è impagabile: il suono può essere corretto e migliorato fino a essere assolutamente perfetto. Meglio così? Grazie alla tecnologia e a un pubblico disposto ad accettarne lo strapotere nell’industria discografica odierna, ecco a voi il modo in cui oggi si producono dischi di successo planetario. Esperti di musica, marketing e immagine si riuniscono, pianificando a tavolino ogni dettaglio: canzoni, video, look da sfoggiare per promuovere il disco. Lasciando a zero, o ridotto all’osso, l’apporto di colei, colui o coloro che appariranno alla voce “artista” su iTunes. Il tutto viene realizzato in grandissima parte con l’aiuto del computer, e il prodotto viene lanciato sul mercato. Il resto lo fanno le radio e soprattutto le TV, utilizzate dai pubblicitari e dai discografici per indurre la gente ad amare questo o quell’altro artista in base a indicazioni arrivate dalla gente stessa, magari via social media. Un’operazione di marketing purissima, un’auto-supercazzola indotta. Risultato: persone che prima del 1980 non avrebbero potuto avere nulla a che fare con il mondo della musica, oggi sono stelle con legioni di fans in tutto il mondo.

Non fraintendetemi, non tutto quello che è figlio dell’era digitale è da buttare. Prendete i Royal Blood, che a detta dello stesso Dave Grohl sono una delle realtà più interessanti del panorama musicale odierno: senza la tecnologia, non avrebbero mai potuto ottenere il suono pazzesco con cui ribaltano i palchi su cui si esibiscono. Però non simulano, registrano in analogico. Potrebbero anche avere il sound più figo del mondo, ma la chiave è che sanno suonare, prima di tutto. Prendete Trent Reznor, storico leader dei Nine Inch Nails. Quotando da Sound City:

Trent è un musicista incredibile che studia da quando aveva 5 anni. Usa gli strumenti tecnologici più moderni per comporre la sua musica, ma non per correggere errori della performance. Non ne ha bisogno. Li usa come veri e propri strumenti musicali, per aprirsi nuovi orizzonti creativi.”

…Non ci credete? Andate a vedere dal vivo i Nine Inch Nails, poi ne riparliamo.

Altra precisazione: questo discorso non si traduce assolutamente in una condanna della musica elettronica. Produttori come Skrillex o Deadmau5 non hanno bisogno di sembrare bravi a suonare. Non usano aiuti per correggere errori, perché possono lavorare solo in digitale (si chiama elettronica non a caso). Anche loro, come Trent Reznor, cercano di usare la tecnologia come uno strumento per arrivare a comporre qualcosa di innovativo, oltre che di piacevole per le orecchie. Non sono affatto farabutti che promuovono una moderna musica del diavolo irrispettosa degli anni ‘60-‘70, e soprattutto non sono come i cantanti che stonano e poi vengono corretti da un tecnico con un paio di click. C’è una differenza gigantesca. Di lì, diventa una sacra questione di gusti.

“Come manteniamo l’elemento umano? Cosa ne è di quel culo enorme che la gente si faceva per imparare a suonare come i propri idoli? E dov’è finita la soddisfazione impagabile di riuscire in questa impresa?

Dave Grohl

Per fortuna, dico io, c’è ancora gente come Dave Grohl, c’è ancora gente come quella che si vede e si sente in Sound City, c’è ancora gente che non inganna gli ascoltatori. Il documentario è illuminante. Lo trovate su SKY, così come la successiva e fortunatissima serie Sonic Highways, in cui Dave e i suoi Foo Fighters girano l’america per raccontare le storie di 8 studi di registrazione, con intento simile a quello di Sound City. Se siete musicisti, vi consiglio disperatamente di vedere tutto quanto, perché lo amerete. Se siete semplici ascoltatori, vi chiedo con altrettanta forza di tentare la visione, perché potreste cambiare il mondo.

Domanda finale. Ve la fa direttamente Trent Reznor:

“Ormai la tecnologia consente a cani e porci di mettere insieme produzioni musicali di altissimo livello. Chiunque può fare un disco, con quattro soldi. Ora, vi sembra che questa enorme accessibilità per tutti abbia migliorato la qualità media della musica che esce oggi…?”.

Rispondete voi.

Analogico o digitale? La risposta è in Sound City ultima modifica: 2014-03-06T16:41:00+00:00 da Mattia Cutrone