Dal flipper alle slot machine. Com’è cambiata la vita nei bar e nelle nostre città con il passaggio da un gioco innocuo e ormai vintage a quello d’azzardo che miete vittime ogni giorno? Cosa potrebbe fare di più lo Stato, che sensibilizza ma si arricchisce, per combattere questa piaga sociale? E cosa potremmo fare noi?
In principio era il caos, e tutti ci sguazzavano come in una specie di Las Vegas sotto casa. No, ricomincio.
In principio era il flipper, poi dio decise non era abbastanza, creò dunque i videogiochi. Grazie dio, graziaddio! Venne anche il settimo giorno e, dopo la pennica post-benedizione, dio accese la Play 1 e vide che era cosa buona; poi, accortosi di esserci già sotto come l’Orso Yoghi coi cestini della merenda, disse a Bubu: “Perché non creare anche un’altra miriade di piattaforme da gaming affinché tutti si svaghino al chiuso delle loro malsane stanze e non coltivino più l’antica arte della socialità?”. Bubu abbozzò, mannaggiallui, e allora dio rovinò per sempre quel clima di sana giovialità che coinvolgeva giovani e meno giovani in ogni bar che si rispettasse. Questo secondo il mito.
I bei tempi del flipper. Genesi
In Italia, il flipper, questo piano inclinato luminescente che anche al giocatore più insensibile ricorda la perenne tensione tra i limiti umani e la forza della natura, talvolta aiutata da qualche infido magnete e da crudeli respingenti, è stato alla ribalta sin dagli anni ’60, quando il boom economico lo importò dall’America, dove già da una decina d’anni stava spopolando. Grazie all’economicità di una giocata e alle tantissime versioni sponsorizzanti film, cartoni animati e altri prodotti di intrattenimento, i flipper divennero presto una presenza fissa nei bar italiani, giusto poco più in là rispetto a dove i vecchi si scannavano per lo scopone scientifico. Addirittura furono eretti a simbolo degli anni ’70 e ‘80, scalzando nettamente l’ormai giurassico juke-box, resistendo strenuamente all’incalzante concorrenza anche nei ’90 e nei primi 2000, sempre per la gioia delle orecchie degli attempati giocatori di carte.
Intorno al flipper, oltre che dentro, sotto a quel freddo lastrone di vetro, si era venuto a formare un mondo, quasi una subcultura. Gare tra amici con bevute in palio, maratone per superare un record, salvadanai atti solo a conservare gli spiccioli per giocare, persone tacciate di portare sfiga, giocatori al limite dell’attacco epilettico osservando il display, attacchi di Ballo di San Vito durante il multiball, profonde lacerazioni alla mano dovute a un pugno di rabbia contro il vetro, prodigiosi sollevamenti del flipper per barare e sì, anche qualcuno che sospingeva la pallina in alto, aiutando il movimento delle levette con intensi sussulti in avanti del bacino, quasi a voler richiamare l’atto sessuale con la femmina chinata di spalle (pervertiti!).
Un mondo sostanzialmente buono, innocente, in cui il peggio che poteva capitarti era di sputtanare 10mila lire in una serata. Uno svago anche discutibile se vogliamo, ma che non faceva male a nessuno. Non che la “vita da bar”, con tutti gli annessi e connessi, sia proprio il modo migliore per realizzare i propri sogni, ma se si tiene a bada l’alcolismo, non c’era ragione di pensare che potesse arrecare danno diretto a qualcuno. Vero anche che, nelle città italiane, il flipper, usato qui in modo simbolico per evocare la convivialità del divertirsi in compagnia al bar, era soprattutto oggetto di culto nelle periferie, nelle zone più disagiate, dei luoghi dove la mancanza di servizi e di presidi culturali rendeva quasi salvifico il bazzicare in un locale frequentato da giovani.
Il castigo. L’avvento delle slot machine
Complice il surriscaldamento globale, da un po’ di anni i flipper si sono estinti, paceallanimaloro!
Oggi invece cosa c’è nei bar a fare caos a ogni ora del giorno e della notte, importunando chi, intento a bere per dimenticare i propri guai, desidera solo ascoltare il ronzio della propria inattività cerebrale? Le dannate, maledettissime videoslot, evoluzioni dei videopoker e delle vecchie slot machine meccaniche.
Che poi, quando ci giocavi al luna park, le slot erano anche divertenti: spendevi una piccola cifra, sapendo già che dopo un breve divertimento effimero, ti avrebbero affibbiato lo spelacchiato peluche di uno sconosciuto cartoon taiwanese. Si giocava alle slot, come si sparava ai palloncini o come si cercava di annodarsi lo stomaco sulle montagne russe. Ora però, non possiamo che additare come demoniache queste macchinette infernali, che andando a soldi veri e sputando dal proprio ventre metallico soldi veri, hanno davvero rovinato la vita da bar, oltre che la vita di molti che, sensibili a questo genere di assuefazioni, si giocano la pensione, la casa, la dignità, la moglie, i denti d’oro e i reni del figlio pur di continuare a fare Jackpot!
E non sono solo “i peggiori bar di Caracas” ad averli nel proprio locale, ma sono ormai una costante in quasi tutti i bar, soprattutto quelli periferici e possibilmente un po’ unti. Unti dal sudore di chi quotidianamente versa litri di secrezioni ghiandolari e centinaia, se non migliaia, di euro nel gioco. Spesso sono loschi figuri che non parlano con nessuno se non con la macchinetta del money change, ma non è raro vedere anziane signore ingioiellate svenarsi al capezzale del meschino marchingegno.
La predica
E “lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”. “Gioca responsabilmente“, dice, ma poi ricava una fortuna in tasse. Legifera per tutelare i luoghi sensibili dall’invasione delle sale slot e dai centri scommesse, ma poi fa poco per far rispettare i divieti (almeno 300 metri da scuole, ospedali e chiese). Intanto l’azzardo prolifera nelle strade e su internet, rovina famiglie e città e fa della pubblicità il suo punto di forza.
E allora dai, diamo l’intera colpa di questa piaga sociale allo Stato? Troppo facile: “ancora una volta, se cercate un colpevole, non avete che da guardarvi allo specchio”. Le slot sono presenti nei bar, tartassati dalle tasse, perché rappresentano una facile via per il guadagno, e, soprattutto, perché esiste molta gente che le adora, come il crack, il Jack Daniel’s o gli orsetti gommosi alla vodka, cioè esiste una forte domanda di azzardo. Certo, un mercato simile, così come quello della droga, viene fortemente gonfiato dai modi e dal valore dell’offerta, facendo cadere nella rete le persone più fragili, più vulnerabili e più esposte a essere raggirate da questo apparente divertissement, ma è vero anche che se nessuno volesse più fare la guerra, non verrebbero più prodotti armamenti. Uff, mi sembro Renzie, ma devo ancora esortare a far partire il cambiamento da ognuno di noi.
Proibizionismo? Ma proprio per niente! Regolamentazione? Di sicuro. Sensibilizzazione? È di certo la strada da percorrere. In un periodo in cui ogni giorno è una scommessa per tirare a campare, per trovare o mantenere il lavoro, per conservare la propria salute fisica e psicologica, scommettiamo solo su noi stessi, cerchiamo di riconoscere quali comportamenti siano dannosi a un tessuto sociale, e, lentamente, emarginiamoli, boicottiamoli! Chissà che un giorno non si possa smettere di giocare online al buio delle proprie stanze, piantarla di credere che i propri problemi possano essere risolti dalla fortuna (ma quale fortuna!) e tornare insieme agli amici a scannarsi con il caro vecchio flipper.
[Puccione degli Alessandri]