Dalla mostra del cinema di Venezia 2015, ecco in anteprima la recensione di Beasts of No Nation, prodotto da Netflix e diretto da Cary Fukunaga, regista dell’amatissima prima stagione di True Detective. Un film che rischia di fare il botto: sicuramente farà discutere.
Non c’è dubbio: True Detective è stata una delle serie TV più viste e apprezzate degli ultimi anni. Livelli di recitazione e di scrittura elevatissimi, ma che dire della regia? Dietro l’altrettanto grandiosa gestione della macchina da presa c’era Cary Fukunaga, fino ad allora noto solo nel cinema indie per Sin Nombre e Jane Eyre (con Michael Fassbender e Mia Wasikowska).
In scia al successo di True Detective, Fukunaga ha presentato a Venezia il suo terzo lavoro per il cinema, quello buono per sfondare definitivamente. Dimenticate il mistero della Louisiana e la filosofia di Rust Cohle, perché questo film va dritto al sodo, senza giri di parole. Beasts of No Nation si basa sul romanzo omonimo dell’autore nigeriano Uzodinma Iweala, che ha scelto il titolo in omaggio a un disco di Fela Kuti, rivoluzionario musicista attivo nel campo dei diritti umani.
Beasts of no nation, trama e trailer
È la storia di Agu (Abraham Attah, esordiente e selezionato tra più di 600 coetanei), un bambino soldato strappato alla famiglia per combattere nella guerra civile di un paese africano, agli ordini di uno spietato Comandante (Idris Elba, apparso recentemente nel secondo capitolo degli Avengers).
Il soggetto è quanto mai attuale nel denunciare un contesto sociale gravissimo, la prima causa dei tanto discussi esodi di migranti verso i paesi più sviluppati. Si combatte senza sosta nella giungla, perché tanto l’alternativa… È la morte.
Beasts of no nation (o Bestie senza una patria, dal titolo del romanzo) racconta una situazione drammatica di cui siamo bene o male consapevoli, ma che ogni volta non smette di scioccarci. Non tanto per i fiumi di sangue versato (che oramai sono all’ordine del giorno nell’audiovisivo, al punto che non mi stupirei se piovesse sangue a catinelle nella prossima stagione di The Big Bang Theory), quanto per i modi totalmente barbari con cui vengono messi in atto i combattimenti.
A gestire gli interessi di queste guerre dallo stampo preistorico sono leader completamente schizzati, che liberano i loro istinti omicidi per ribellarsi alla fame, per colmare la voragine sociale che li separa dai “politici”.
Un thriller brutale, non un documentario
Il film di Fukunaga, comunque, non è un documentario e privilegia volentieri il piglio dell’intrattenimento rispetto a quello della denuncia, affidandosi a una struttura classica che vede Agu prima a suo agio nella propria famiglia, in pace, poi progressivamente sottoposto a un’escalation di violenze, da commettere e da subire.
La tensione c’è, ma non è male anche la gestione del pensiero di Agu, che in voce fuori campo rivolge domande e preghiere alla madre, al mondo intero, a Dio. Una disperata, inespressa richiesta d’aiuto. Quando gli viene chiesto quanto Abraham Attah, piccola grande star del film, fosse cosciente del suo personaggio e della violenza che lo circonda, Fukunaga risponde così. “Nel casting abbiamo visto ragazzi che hanno vissuto veramente quel tipo di esperienza, e questo ci spaventava. Abraham ha potuto affrontare il lavoro con un certo distacco. Le scene sono violente quando la guardi al cinema, sul set invece la drammaticità si percepisce meno. Abraham è riuscito a far passare certi concetti e certe emozioni in maniera totalmente credibile, senza farsi sopraffare dal personaggio”.
Con questa cruda mescolanza di denuncia, azione e introspezione, coordinate dalla regia di Fukunaga, il film rischia di fare il botto. Ma c’è anche una ragione prettamente commerciale, accompagnata da non poche polemiche, che potrebbe garantirne il successo: Beasts of No Nation sarà infatti disponibile nello stesso preciso istante in tutti i paesi in cui è presente Netflix (Italia compresa), che ha prodotto il film e che aveva già dato prova della sua qualità sfornando in autonomia House of Cards. È la prima volta che un prodotto Netflix concorre in uno dei festival cinematografici più importanti del mondo, sottolineando ulteriormente come il confine tra piccolo e grande schermo sia in continua fase di aggiornamento.
Un danno troppo grande per i cinema classici? L’ennesima vittoria del mondo virtuale? Lo vedremo. Certo è che Beasts of No Nation è un film fortemente ancorato alla realtà e punta a farcela guardare dritta negli occhi.