LOST AND FOUND ALBUMS è la rubrica settimanale di YURY Magazine che rispolvera dischi vecchi e nuovi poco conosciuti o dimenticati. Non siete soddisfatti del mercato discografico attuale? Pensate che in Italia gli album di qualità facciano troppa fatica ad emergere? Cercate semplicemente un disco interessante da ascoltare? Benissimo, questa rubrica fa per voi. Tutti gli altri, la leggano lo stesso. È musica, non fisica quantistica. E che c***o.
1994. Il giornalista di Mixmag Andy Pemberton cerca di assegnare un genere alla canzone “In/Flux” di Dj Shadow, artista della scena di San Francisco. Non riuscendo a trovarne uno già esistente, se ne inventa uno nuovo: TRIP-HOP. Due parole che uniscono istantaneamente dieci anni di sperimentazione avvenuti a 4000 miglia di distanza, nel Regno Unito.
Il Trip-hop infatti nasce a metà degli anni ’80, inconsapevole del nome che gli verrà attribuito. La città di riferimento è Bristol, situata nel Sud-ovest dell’Inghilterra. Città portuale, dove sbarca una grandissima parte degli immigrati provenienti dalle Americhe. Il sound system della zona riflette in modo chiarissimo questo aspetto, gronda multiculturalità.
“La musica Trip-hop è la musica del nuovo mondo. Parla in tutti i linguaggi culturali”. (Horace Andy, storico artista roots reggae)
Succede così che l’hip-hop tipicamente americano, che di lì a poco esploderà, si fonda con quello inglese. Il risultato viene dipinto su una tela di dub jamaicana, il tutto senza dimenticare l’influenza delle maggiori correnti del periodo, al di là della scena di Bristol. Due in particolare. Primo su tutti l’acid jazz, ossia una fusione di funk, jazz e hip-hop. In soldoni, una musica basata su un groove strumentale, ripetitivo e ballabile, su cui improvvisare un cantato/rappato. Secondo, un genere molto ben delineato a quei tempi, ma che oggi è il più inflazionato di tutti. Ebbene sì, proprio lei: la House Music. So cosa stai pensando, amico che non avevi idea di cosa sia il Trip-hop. Stai pensando che questi pazzi avranno prodotto musica inascoltabile. Vai avanti a leggere.
La massima espressione di questa pletora di ingredienti si realizza nel Wild Bunch, crew nata a Bristol, creatrice dello stampo sonoro che oggi chiamiamo Trip-Hop. Tra i suoi associati, Adrian “Tricky” Thaws, il producer Jonny Dollar, i Djs Nellee Hooper, Andrew “Mushroom” Vowles, Grant “Daddy G” Marshall e il rapper/artista di strada Robert “3D” Del Naja.
Nel 1990, Mushroom, Daddy G e 3D decidono di dare vita a un nuovo gruppo, senza però smettere di avvalersi dell’aiuto del Wild Bunch: nascono i Massive Attack. Il primo disco arriva nel 1991. Si chiama Blue Lines ed è il primo album Trip-hop della storia.
È un fatto universalmente riconosciuto, anche se la band odia essere etichettata sotto un genere preciso. C’è da capirli, considerando la loro natura sperimentale che dimostreranno nei dischi successivi. Ma non è una bestemmia dire che lo stampo delle loro opere sia sempre lo stesso, ossia quello costruito con Blue Lines.
Soffermiamoci finalmente su questo album allora. Esordio dei Massive Attack, esordio del Trip-Hop. Oltre ai 3 componenti ufficiali della band, danno il loro contributo tutti i membri del Wild Bunch, che poi si metteranno in proprio ottenendo un grande successo, Tricky su tutti. Caro amico di prima, ora sai di cosa stiamo parlando, ti sfido ad ascoltare le prime tracce e dire che la mistura di tutti quei generi musicali non abbia portato a un risultato quantomeno sorprendente.
Prima traccia: “Safe From Harm”, pezzo che utilizza samples provenienti da una canzone di Billy Cobham. Nella mia top 3 personalissima dell’intera discografia. Giro di basso leggendario, batteria semplice, puntuale, con un suono semplicemente meraviglioso. Mi sbilancio: considerando il genere di musica allargato ai suoi simili e la data di uscita del disco, il suono del rullante è uno dei più brillanti e incisivi di tutti i tempi.
Una fusione di quello classico anni ’80 con uno rock standard. Voce ammaliante di Shara Nelson, voce ipnotica di 3D, distorsione pungente delle chitarre. La prima cosa che salta all’orecchio è proprio il bilanciamento di tutti questi elementi, di così diverso retaggio tra loro.
Andando avanti troviamo tutto il resto. Le sonorità jamaicane in “One Love”, quella hip-hop in “Blue Lines”, quelle tipicamente anni ’80 in “Be Thankful For What You Got”. Uno degli aspetti più innovativi è senz’altro il numero medio di BPM, molto basso, che ha aiutato a sdoganare il Downtempo nella musica dance. In altre parole, questo disco ha dimostrato che non c’è bisogno di una cassa fissa in quarti a velocità smodata per ottenere un pezzo ballabile. Gusti permettendo, come sempre.
Dopo le prime quattro tracce, possiamo già dire che la sperimentazione del Wild Bunch è riuscita, lo stampo è stato creato. Vi lascio ascoltare il resto, invitando caldamente a spararvi tutta la discografia per toccare con mano l’evoluzione della band.
Ultime due note. Numero uno, la traccia numero 6 si chiama “Unfinished Sympathy”. Altra top 3 mia personale, è una delle classiche canzoni che moltissimi personaggi influenti nel music business considerano tra le più belle di tutti gli anni ’90, ma che in Italia è quasi sconosciuta.
Numero due. Mushroom è uscito dal gruppo diversi anni fa, ma 3D e Daddy G non hanno fatto sentire la sua mancanza. In attesa del prossimo disco, che sarà il seguito di Heligoland, i Massive Attack sono in giro per l’Europa con il solito gruppo di musicisti di livello planetario. Cercate pure i concerti su Youtube per verificare e magari dopo andate su ticketone, visto che per una volta la nostra beneamata penisola sarà benedetta da ben quattro date estive!
Enjoy!