L’ultimo lavoro di Derek Vincent Smith, alias Pretty Lights, è interamente scaricabile gratis dal suo sito internet. Profeta della libera circolazione della musica, compenetra il fascino vintage dei vinili funk e soul alle ricercate sonorità elettroniche dell’era contemporanea.

 

Derek Vincent Smith non è un nome sconosciuto agli amanti dell’elettronica indipendente. Conosciuto con lo stage name Pretty Lights, attira da anni un numero sempre maggiore di consensi tra critici e fans, non solo per motivi artistici, ma anche per il suo sostegno all’eversiva idea della circolazione libera della musica. I suoi dischi e le tracce prodotte dagli artisti a contratto con la sua etichetta, la Pretty Lights Music, sono infatti disponibili gratuitamente sul sito http://prettylightsmusic.com, cliccare per credere. I file dei suoi lavori possono anche essere inviati a un amico, cliccando sul tasto “donate”.

I primi tre LP pubblicati del trentenne producer americano sono caratterizzati da un grosso sforzo per fondere diversi generi e ricercare nuove strade, mantenendo sempre la continuità tra passato e presente. Samples provenienti da un mondo dimenticato di soul e funk, di cui è appassionato della prima ora, si mischiano con l’hip-hop underground e i suoni più elaborati, quindi meno mainstream, dell’elettronica di oggi. L’idea funziona, e il nativo del Colorado comincia a farsi un nome nella scena EDM, esibendosi in festival del calibro di Coachella e Bonnaroo.

Ma è con il quarto album che arriva il bello. Smith alza l’asticella: il metodo rimane quello classico, si prendono vecchi vinili, si cercano samples adatti a essere mixati e si costruiscono nuove tracce. L’idea geniale di Pretty Lights, che è anche una sfida non da poco, è recuperare l’attrezzatura anni ’60-’70 con cui quei vinili venivano prodotti, sbattere dentro a uno studio musicisti apparentemente sbarcati da una macchina del tempo partita da 50 anni fa, schiacciare REC sui tasti ammaccati del registratore antidiluviano e produrre il proprio materiale originale. Poste queste sessions su vinili, Smith ne estrapola le parti che gli servono, modificandole con un vecchio sintetizzatore modulare, per poi aggiungere il suo stampo elettronico.

Dalle sessions di Brooklyn multi-genere, con fortissimo sapore roots, fino a quelle di New Orleans con la classica banda che vedete nel famoso carnevale locale: ci sono tutti gli ingredienti per fare un piatto coi controfiocchi. Sta al cuoco non sbagliare. Il risultato non solo suona bene, ma è addirittura sorprendente. Al di là di quanto l’orecchio possa apprezzare la musica, l’idea e il lavoro dietro a questo album sono oggettivamente impressionanti. Si può parlare di pura “Electro-Analog”.

A color map of the sun, uscito il 2 luglio 2013 in doppio album, ha conquistato una nomination come Best Dance/Electronica Album ai Grammy Awards, dove non ha vinto giusto perché pareva brutto non premiare i Daft Punk, anch’essi autori di un omaggio ai tempi andati e alla tecnica di registrazione analogica (se posso permettermi, non con lo stesso coefficiente di difficoltà produttiva e soprattutto di varietà rispetto a Pretty Lights, ma questo è un altro discorso).

Premete “PLAY”! Pretty Lights laser show…E vi troverete all’interno di un vortice che vi condurrà dal soul anni ’50-’60, al jazz di mamma Louisiana, dalle radici del funk, fino all’hip hop brooklinese. Il tutto condito da un bouquet di suoni electro di rara versatilità.

I synth sono un tappeto morbidissimo, la batteria reale e quella elettronica, quasi sempre dimezzate (perché da sempre nello stile di Pretty Lights, e non perché ora va di moda), si integrano alla perfezione. Il mood è rilassato, ma a tratti risulta difficile rimanere fermi immobili ad ascoltare. Se poi l’apporto elettronico fosse troppo per le vostre orecchie, c’è il disco 2, una raccolta delle sessioni live non mixate.

Enjoy!

A Color Map of the Sun: l’album in share, ponte tra passato e futuro ultima modifica: 2014-03-17T20:31:35+00:00 da Mattia Cutrone