Muore qualcuno e diventiamo tutti fan, ormai è noto. Ma cosa succede se il defunto di turno era consapevole di avere un piede nella fossa quando ha scritto un album basato sulla sensazione di essere ormai più di là che di qua? E se quell’album è pure bello?

Se vi fosse sfuggito, David Bowie è morto. Di cancro. Da un po’. Un periodo abbastanza lungo, secondo gli standard dell’Internet, da essere questo, ormai, un fatto archiviato su Wikipedia da celebrare tra dieci anni, quando al mattino vedrete la sua faccia al posto della classica scritta Google.

Abbiamo questa incredibilmente umana tendenza a badare solo alle cose che non ci sono più. Come la maglietta che tua madre ti butta perchè ormai fa schifo e che non mettevi da sei anni, ma che appena non la trovi nell’armadio diventa il tuo indumento preferito di sempre.
Quando avevo quattordici anni avevo “Heroes” sull’iPod, ed era l’unica canzone di Bowie a cui mi fossi interessato veramente prima di “Blackstar”, traccia d’apertura dell’omonimo album.

Sì, “quando muore uno famoso” mi piace provare ad ascoltare qualcosa dell’artista, come se di colpo mi fregasse; Lemmy Kilmister non mi aveva convinto con il suo rock molto diretto, americano nel peggior senso che possiate immaginare, ma gli ultimi video di Bowie disponibili su Youtube mi hanno fatto pensare valesse la pena inserirmi nella triste corrente necro-celebrativa degli epitaffi scritti male e nella fretta dettata dal voler cavalcare l’onda causata dal tuffo del nuovo morto nello Stige. Solo che dell’onda ce ne siamo fregati, e quindi la riflessione diventa più ampia, diventa generale, tenente, colonnello.

Sei una leggenda vivente, sai che lo sarai ancora per poco. Sei David Bowie, migliaia di macchine fotografiche hanno indugiato sui tuoi occhi asimmetrici, uno verde e uno azzurro. Milioni di persone conoscono la tua iconografia legata allo Spazio; l’astronauta Major Tom e l’intero periodo del personaggio Ziggy Stardust.

Quindi realizzi un video onirico in cui sei bendato, moribondo e nella tuta di Major Tom c’è uno scheletro con il cranio farcito di pietre preziose.

Realizzi un album ermetico, scarno, buio come una sinestesia automatica impone, e lo alimenti di batterie ossessive alla Massive Attack, effetti elettronici strappati di mano a grandi artisti moderni e applicati tanto bene da far apparire loro come bambini incapaci; stai attento ad avere sempre uno strumento che suoni qualcosa di sbagliato, di disarmonico e ostinatamente distratto che ti prenda in giro mentre canti, vecchio e stanco, a scimmiottare l’iconografia aggressiva della musica commerciale contemporanea.

Ancora prima di tirare le cuoia sai già che verrai ricordato e rimpianto come un Michael Jackson re-del-pop qualsiasi per la tua enorme inlfuenza musicale.

Da quel poco che ho capito, profano che non sono altro, Bowie è sempre stato così; è diventato un’icona vendibile nonostante ruotasse su orbite esterne alla logica del mero commercio discografico, collaborando con antitesi musicali come Freddie Mercury e Iggy Pop.

Oltre la barriera di “Starman”, “Changes”, “Heroes”, c’è un lascito biografico di dischi da ascoltare in retrospettiva, pensando all’epoca a cui sono stati offerti e cercando la loro traccia negli artisti successivi. L’impressione è che si sia sempre riuscito ad affermare, nonostante avesse idee musicali molto chiare e personali.

 

Bowie sapeva di morire e quindi ha scritto un album sulla Morte in cui sputa in faccia al pop, pur avendone grande considerazione e riponendo in esso ancora molta fiducia.

Take your passport and shoes (I’m not a popstar) And your sedatives, boo (I’m a blackstar)

Se sei un’icona mondiale, è un bel modo per chiudere lo spettacolo.

E se un vecchio moribondo è capace di uscire di scena con una tale eleganza, non annegato nel suo vomito, ucciso dalle droghe, stampato su un albero a gran velocità, con mezzo cervello sparato su un muro o un mix di queste, allora forse è il caso di chiedersi se quando muore uno famoso non valga la pena almeno capire cosa gli è passato per la testa prima di andarsene, e, se siamo fortunati e non sono tutti Kurt, quell’ultima cosa è un album fenomenale, non il proiettile di un fucile.

 

[Matteo Bodra]

Adoro David Bowie (da quando è morto) ultima modifica: 2016-02-24T12:39:48+00:00 da Matteo Bodra