Corre l’anno 2010, spira un vento nuovo sull’electro house mondiale. Il vento di Deadmau5, producer (non DJ, attenzione) canadese famoso per esibirsi con indosso una testa di topo gigante, meno famoso per le sue idee poco politically correct e per il suo sound imprevedibile e curato nei minimi dettagli. 4X4=12, un album memorabile.
“Non sono un DJ, sono un producer. Non vengo glorificato e pagato miliardi perché so mettere a tempo due tracce schiacciando quattro bottoni. Come può fare qualunque stronzo. Nella scena EDM (electronic dance music) dovrebbe contare la musica, prima di tutto. Se hai qualcosa di speciale, lo fai vedere coi tuoi dischi, lo fai sentire nei live. I DJ veri sono altri e non fanno parte della scena che conta, non li calcola nessuno perché non è quello che interessa alla gente. La maggior parte di chi ci ascolta non sa riconoscere quanto un DJ sia bravo, non gliene frega un cazzo”.
La diplomazia non è certo una delle caratteristiche principali di Joel Zimmermann, AKA Deadmau5. Non so dire con certezza se sia un personaggio costruito o se la sua spiccata indole polemica e rissosa sia sincera, probabilmente la verità sta nel mezzo. Di contro, dal punto di vista dei fans e degli amanti del genere, simili affermazioni non consentono al producer canadese di restare nelle sfumature di grigio. Uno così, o si ama o si odia.
“Se uno fa un pezzo che vende, gli costruiscono addosso un personaggio e lo mandano in giro per il mondo con un set pre-confezionato a chiedere cachet da capogiro. Lui schiaccia play, muove un po’ le braccia e il gioco è fatto. E guai a produrre qualcosa di diverso rispetto a quando hai fatto successo, vietato correre rischi, non è più l’artista che influenza il pubblico, ma viceversa”.
Se non siete ancora convinti, vi riporto una sua frase non proprio amichevole twittata al celebre Afrojack, accusato di pubblicare tracce ripetendo sempre la stessa formula vincente, in onore alla logica commerciale più classica.
“Fanculo tu e il tuo McDonald’s!”.
Va da sé, un tale atteggiamento ti mette addosso enorme pressione. Quando sputi regolarmente sentenze negative sulla qualità dei tuoi colleghi, non puoi commettere il minimo errore. Il bello, o il brutto, a seconda di come la vedete, sta proprio qua: Joel Zimmerman, di queste aspettative, se ne frega. Va avanti per la sua strada, fa e dice quello che gli pare. A inizio carriera prova a comporre hit da primo posto in classifica, pure con buoni risultati, ma a un certo punto cambia obiettivo. Arriva il momento di fare musica per il gusto di farla, di sperimentare senza paura, trovare qualcosa di completamente nuovo. E se ascoltate tutti i dischi di Deadmau5, fino al criptico, sorprendente e interessantissimo while (1<2) uscito l’altro ieri, capite quanto poco abbia paura di abbandonare una formula che funziona.
La cavalcata inizia nel 2009, quando esce For Lack of a Better Name. Sound innovativo, risultante di una cura maniacale dei minimi dettagli, raffinato ma dall’effetto brutale, capace di passare ai synth epici della progressive house a quelli sporcati, distorti e gracchianti con cui Deadmau5 farà scuola. Ispirerà una nuova generazione di producers, tra cui Wolfgang Gartner, Feed Me, Zedd, Far Too Loud, Mord Fustang, in parte Skrillex, che di lì a poco plasmerà lui pure un sound destinato a far drizzare le orecchie della scena EDM mondiale e non solo.“Ghosts n’ Stuff”, anche grazie all’apporto di Rob Swire dei Pendulum (che poi formerà i Knife Party, ispirato dall’esperienza con Deadmau5), diventa e probabilmente resta ancora oggi la sua traccia più conosciuta, il paradiso di ogni tecnico del suono unito a una voce pop non facile da dimenticare. “Strobe”, la chiusura dell’album, è un’autentica pietra miliare dell’elettronica.
La vera svolta arriva nel 2010 con 4×4=12, il suo capolavoro. L’esaltazione di ciò che in For Lack of a Better Name era suonato diverso, in senso positivo. La traccia d’apertura, “Some Chords”, è una violenta dichiarazione d’intenti. Intro di quasi due minuti con un’orgia di synth alti e bassi che si completano meravigliosamente, ingresso in crescendo di una batteria affilatissima, la sensazione di non aver ancora visto niente. E in effetti il drop, cioè “il momento quando parte”, come si direbbe nella vostra discoteca, ti spazza via. E non rimane fermo a quelle quattro battute di stacco, ma continua a evolversi per tutto il pezzo. Se ascoltandolo pensate “che palle, non canta nessuno”, cambiate disco.
“Sofi Needs a Ladder” (traccia 2), la voce ce l’ha. Ed è quella della sensualissima, per usare un eufemismo, Sofia Toufa, una cantante fatta dal sarto per questo genere. Le sue parole si stagliano su un beat molto più minimale rispetto a “Some Chords”, ma non per questo meno coinvolgente, anzi. Synth basso alla base, synth alto in cima al ritornello, suoni perfetti, specialmente quelli della batteria, uno schiaffo dietro l’altro, rimanere immobili è un’impresa. Vi consiglio, se non l’avete ancora fatto, di provare l’esperienza di ascoltare Deadmau5 attentamente con cuffie di alto livello, vi accorgerete di quanto lavoro c’è dietro alle sue produzioni. Vale soprattutto per l’ultimo disco.
Dall’inizio alla fine c’è di che ballare e soprattutto, per una volta, ascoltare, non solo sentire. Sottolineo “Animal Rights” (traccia 5), pregevole collaborazione con Wolfgang Gartner, ma soprattutto “Raise Your Weapon” (traccia 9), un’opera in due parti. La prima stile vecchio Deadmau5, beat semplice, synth prog house, voce ammaliante di Greta Svebo Bech. La seconda, splendidamente inaspettata e coinvolgente, electro dubstep, stile Nero. La stessa dubstep, mi prendo la responsabilità delle mie affermazioni, che grazie a Skrillex e quindi a Deadmau5 viene inserita oggi nel pop e hip-hop mainstream. Chi mai l’aveva vista?
Per chi lo ama, Deadmau5 è il paladino della musica elettronica. Una grandissima testa di c***o che non guarda in faccia nessuno, un nerd vestito male affascinato dalla musica d’autore e dalla tecnologia del suono, sia essa antica o d’avanguardia, un producer senza pretesa di essere chiamato DJ. Per tutti gli altri, è l’ennesimo purista di turno a tirare escrementi addosso a tutto il mondo senza averne diritto, tanto per fare il diverso. Ah, lo sfortunato destino di chi non gradisce ciò che l’uomo medio ama.