Il successo al box office è molto spesso associato a prodotti commerciali di bassa qualità. Due giorni, una notte rappresenta una piacevole eccezione: è un impegnato film d’autore, ma in questi giorni registra incassi più che buoni, dimostrando di aver saputo toccare corde universali e non solo di nicchia. Protagonista è Marion Cotillard. 

Come nel caso de Le Meraviglie di Alice Rohrwacher, parliamo di un film presentato con successo al Festival di Cannes. Nonostante negli anni questo evento abbia attirato sempre di più l’attenzione dei media, è comunque riuscito a mantenere la propria identità di grande serbatoio del cinema d’autore, intenso come  molto personale e quindi originale. Per questo a volte il passaggio sulla croisette viene indicato come sinonimo di pesantezza e scarsa fruibilità. Ma non è sempre cosi, come già altri film del recente passato hanno ampiamente dimostrato (vedi La Grande bellezza).

Veniamo alla storia. Sandra lavora presso una piccola azienda, dove è considerata l’anello debole della catena produttiva perché in passato ha sofferto di depressione. Un giorno, i suoi colleghi sono messi di fronte a una drammatica scelta: votando per il suo licenziamento riceveranno un bonus di 1000 euro, in caso contrario dovranno rinunciarvi. La prima votazione la vede nettamente sconfitta, ma, incoraggiata dal marito, ottiene una seconda votazione. Avrà un tempo limitatissimo per convincere chi le ha votato contro a cambiare parere.

Nonostante sia evidente che Due giorni, una notte abbia in qualche modo una funzione di sismografo sociale dei giorni nostri (e in questo riesce molto bene), per poterlo apprezzare maggiormente è necessario escludere momentaneamente questa componente. Si, è vero, il lavoro e la politica sono intimamente collegati, ma il bello dei registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne è che riescono a sfuggire a qualsiasi categorizzazione: il loro cinema è assolutamente universale, e non trae linfa dalle implicazioni sociali che solleva o dai risvolti della trama, a tratti un po’ monotona, bensì dai suoi personaggi, studiati nei minimi particolari.

Lo stile dei Dardenne è caratterizzato da un’assoluta pulizia della messa in scena. Vediamo solo i personaggi e le loro scelte e non possiamo aggrapparci a nessun’altro tipo di abbellimento stilistico: ad esempio si notano la fotografia molto realistica e la totale assenza di colonna sonora.

Chiaramente questa forzatura nel seguire costantemente le azioni della protagonista rischia di rallentare o annoiare, ma è attraverso lo sviscerarsi del conflitto interiore di Sandra che si rimane decisamente coinvolti. Il suo bisogno esterno, quello di essere ri-assunta, non coincide con le sue esigenze più intime. Se riuscisse a convincere i colleghi a non votare per il suo licenziamento, sarebbe poi costretta a fare comunque i conti con coloro che non l’hanno sostenuta, scontrandosi con una situazione che non aiuterebbe certo il suo completo ristabilimento psicologico (alla prima difficoltà Sandra butta subito giù due Xanax, palesando il pericolo di poter ricadere nella depressione da un momento all’altro).

Questa forte contraddizione testimonia quindi a una scrittura semplice e allo stesso tempo stratificata, tanto raffinata quanto coinvolgente. Forse nella parte centrale potrebbe essere concesso qualche sbadiglio, ma il bilancio rimane fortemente positivo.

Chiudiamo con un doveroso elogio della splendida Marion Cotillard, che torna in patria e sveste i panni della diva elegante e raffinata apprezzata nel mondo dei blockbuster hollywoodiani al servizio di Christopher Nolan (Inception, Il cavaliere Oscuro-il ritorno) e Woody Allen (Midnight in Paris).

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Due giorni, una notte: perdi il lavoro, ma trovi la serenità ultima modifica: 2014-11-27T19:53:36+00:00 da Alessio Rocco