La straordinaria storia di Fela Kuti, musicista nigeriano scomparso una ventina di anni fa, considerato anche un rivoluzionario e un influente attivista per i diritti umani. Fondatore del genere Afrobeat, negli anni ’70 fu anche perseguitato dalle autorità per il suo impegno politico. La sua singolare vicenda ci dà lo spunto per cominciare, in questo articolo e in quelli che lo seguiranno, a parlare di artisti provenienti da contesti discografici non convenzionali, soprattutto per ubicazione geografica, icone che hanno in qualche modo lasciato il segno nel mondo della musica, lontano dai palcoscenici più convenzionali.
È stato un cantante, un musicista, un’icona, una figura carismatica. Nato in un’ex colonia britannica per la quale si è speso come attivista, i suoi testi e la sua musica sono stati una cassa di risonanza per amplificare la voce di chi lottava per i più basilari diritti. È universalmente riconosciuto come il padre di un genere musicale che ha reso lui e i suoi figli famosi in tutto il mondo. Ha avuto molte donne e gravi inconvenienti con la legge a causa del consumo di marijuana. “Sta parlando di Bob Marley”, starete pensando. E invece…
E invece il protagonista di questo articolo è nato nel 1938 ad Abeokuta, nel Sud-Ovest della Nigeria. Si tratta di Olufela Olusegun Oludotun Ransome-Kuti, per tutti: Fela Kuti.
Nel 1958 il giovane Fela, figlio di un reverendo nonché presidente dell’unione nigeriana insegnanti, viene mandato a Londra per studiare medicina, ma torna in Africa cinque anni dopo con un diploma in tromba al Trinity College of Music, un’esperienza con il gruppo musicale dei Koola Lobitos, ma soprattutto una moglie (Remi) e un figlio, Femi, che diventerà l’erede della sua idea musicale.
Ma il viaggio che cambia la sua storia come compositore è quello del ’67 in Ghana, dove viene per la prima volta a contatto con un nuovo tipo di musica: l’Afrobeat. Afrobeat è un termine inventato dallo stesso Kuti per definire il suo particolare stile che fonde jazz, musica tradizionale africana (specialmente per quanto riguarda il canto a “botta e risposta” tra cantante e coro) e i ritmi funk. Da qui inizia la sua brillantissima carriera che lo porterà nell’elite della musica africana di tutti i tempi.
La discografia di Fela è tutta li da esplorare, ma ci sono alcuni album più importanti di altri per le storie che si accompagnano al processo creativo di musiche e testi.

Expensive Shit 1975 – cover
Fela Kuti travalica la figura dell’artista diventando un vero e proprio rivoluzionario. Durante i suoi live lancia invettive contro i politici corrotti, i colonialisti e i militari, attaccandoli anche sul personale.
Nel 1970 fonda la “Repubblica di Kalakuta”, ovvero una comune, fungente sia da studio di registrazione che da casa per chiunque gravitasse attorno all’artista, ben protetta da filo spinato.
Dopo essersi inimicato il governo a causa delle sue idee e azioni sovversive, nel 1974 la polizia passa al contrattacco. Entrano nella sua Kalakuta Republic con un mandato di cattura per possesso illegale di marijuana. Si dice che, durante il blitz, gli agenti abbiano nascosto nella tasca del cantante dell’erba, ma che egli se ne sia accorto in tempo ingerendola e costringendo quindi le forze armate a portare lui e i suoi collaboratori in prigione, ad Alagbon, in attesa che la biologia facesse il suo corso e le sue feci potessero essere analizzate.
In maniera del tutto rocambolesca e con l’aiuto dei suoi fedelissimi gli escrementi risultarono negativi, scagionandolo completamente e regalando a noi un gran pezzo con un testo derisorio nei confronti dei carcerieri: “Una capra/una scimmia/un uomo e una donna, quando cagano, l’ultima cosa che vogliono vedere e la propria merda, perché puzza. Ma non è così per degli stupidi che ho incontrato ad Alagbon. Loro la usano per imprigionarti”.
Nel ’77 esce Sorrow, Tears and Blood, un cd chiave per comprendere le idee politiche di Fela. La title track infatti è stata scritta in memoria della rivolta di Soweto del ’76. La rivolta ebbe luogo per rispondere alla decisione del governo segregazionista sudafricano di imporre l’insegnamento dell’afrikaans (la lingua dei colonizzatori e dell’Apartheid) ai bambini neri nelle scuole. Moti che furono repressi nel sangue.
Questa canzone con chitarra funk, canto antifonale, testo impegnato e brass section tipica dello stile di Fela Kuti si mantiene nei canoni, solitamente più festosi e “danzerecci”, classici dell’Afrobeat ma riesce nel contempo a infondere la tristezza e la rabbia di un intero continente.
Forse il suo apice nella lotta alle istituzioni si ebbe con la sfida aperta al dittatore nigeriano per le elezioni, che gli fruttò il soprannome di “Black President”. Era sempre il 1977 ed era appena uscito il suo album Zombie in cui paragonava la polizia alle famose creature horror cantando così: “Gli zombie non vanno, non si fermano, non si girano e non pensano se non dici loro di farlo”. “Attenti! Marcia veloce! Marcia lenta! Fianco sinistro! Fianco destro! Dietro front! Ripetere! Saluto! Togli il cappello! Riposo! In fila! Rompete le righe! Preparati! Alt!”.
È la goccia che fa traboccare il vaso. I militari entrano nuovamente nella comune, uccidono gli uomini, stuprano le donne, bruciano le case e dopo aver picchiato a sangue Fela, uccidono sua madre, un’influente attivista femminista, defenestrandola.
Sia sull’uomo che sull’artista Fela Kuti ci sarebbe tanto altro da dire, ma spero che questa breve introduzione sul personaggio, vi abbia incuriosito e che possiate tutti approfondire la conoscenza di una delle personalità più straripanti, di uno degli artisti più trascinanti e di un grande rivoluzionario dello scorso secolo.