Non ci ho capito niente. Lo pensiamo di fronte alla spiegazione della prof di mate, lo facciamo spesso anche al cinema. i9diYURY vi portano i migliori film che non si capiscono, per chi cerca una pellicola più complicata del cubo di Rubik, o più enigmatica di un pensiero di Alberto Tomba.
Uno stormo di fenicotteri sui tetti di Roma. Chi di noi non ha pensato: cosa diavolo avrà voluto dire? Con La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino ha dimostrato di essere uno dei tanti registi che (ab)usano del linguaggio evocativo, confidando nella capacità del pubblico di azionare il cervello. A volte però tutti i nostri sforzi sono vani. Può essere che la trama sia troppo intricata, oppure che i significati del film siano misteriosi, psicologicamente indecifrabili.
In un modo o nell’altro, per questi film che non si capiscono siamo legittimati a non dedurre subito un significato. Vale però la pena vederli, sicuramente una, quasi certamente anche due volte. Via!
L’esercito delle 12 scimmie
Nel 2035 gli umani sono stati quasi sterminati da un virus e la terra è inabitabile. James Cole (Bruce Willis) viene mandato indietro nel tempo per raccogliere informazioni sull’Esercito delle 12 scimmie, una specie di Greenpeace un po’ più estremista, che avrebbe diffuso il contagio per liberare la Terra da quel cancro che ritengono siano gli esseri umani.
Viaggi temporali e paradossi, con un film intrippante fai presto a ingarbugliare la mente di uno spettatore. Terry Gilliam, che avete apprezzato quando eravate dei cinefili 15enni invasati di Paura e delirio a Las Vegas, firma un thriller di fantascienza distopica (tipo The Man in The High Castle, la serie) che, a distanza di 20 anni giusti giusti, non è per nulla invecchiato. Finale celebre (è tra quelli spoilerati da Caparezza) e un Bruce Willis in gran forma. Nel cast anche Brad Pitt e Christopher Plummer. “Il futuro è storia”.
2001: Odissea nello spazio
Degli astronauti trovano un monolite sepolto sotto la superficie lunare. Con l’aiuto del computer intelligente HAL 9000, partono per una missione alla scoperta dell’oggetto misterioso.
Un anno prima che l’uomo mettesse piede sulla luna, Kubrick aveva già dato vita al primo grande film sperimentale di fantascienza. Si parte dall’uomo scimmia, che scopre l’intelligenza quando realizza di poter usare le ossa come armi, e si arriva all’orbita di Giove. Il passaggio attraverso lo spazio e il tempo che compie il protagonista nel finale assomiglia a quello (male copiato) di Interstellar. Era il 1968, oggi è il 2016, ma un senso questo viaggio ancora non ce l’ha.
The Master
Un veterano della marina (Joaquin Phoenix) torna a casa dopo la seconda guerra mondiale. Incerto sul proprio futuro, viene coinvolto da La Causa (riferimenti espliciti a Scientology), setta comandata da un leader carismatico e folle (il The Master del titolo, intepretato dal solito magistrale Philip Seymour Hoffman).
In questo caso la confusione è generata, più che dagli inghippi di trama, dalle insbrogliabili matasse dei cervelli dei personaggi. The Master è uno studio di filantropia accompagnato da immagini mozzafiato, un film che va visto e rivisto per essere compreso in toto nella sua filosofia. Un ragionamento complesso, che fa ben poco per venire incontro alle esigenze cognitive degli umili cinefili. Gli scambi tra Phoenix e Hoffman, comunque, sono da antologia. Dirige Paul Thomas Anderson.
Mulholland Drive
Dopo un incidente d’auto, Rita (Laura Harring) perde la memoria. Trova rifugio da Betty (Naomi Watts), un’aspirante attrice che l’aiuta a scoprire la sua vera identità.
Di David Lynch si poteva usare tutta la filmografia, a partire da Strade Perdute. Questo è un film quasi impossibile da descrivere. Non ci sono risposte, ma un crescendo infinito di domande. Personaggi e ambienti riappaiono in forme diverse, senza mai offrire una soluzione ovvia. La commistione più inesplicabile tra sogno e realtà nella storia del cinema.
Il cielo sopra Berlino
“Gli angeli amano le nostre lacrime, di questa rugiada avidi; talvolta siamo dei loro con le nostre guance umide”. Il cinema ha davvero bisogno di poeti come Wim Wenders, che nel 1987 ha il coraggio di filmare, in bianco e nero, la storia di due angeli che sorvolano Berlino per ascoltare i pensieri delle persone.
Un film devoto all’osservazione dell’uomo, del suo modo di vivere, della sua anima. 130 minuti di una sensibilità estrema, uno spartito commovente e forse troppo complesso per noi comuni mortali. Palma d’oro a Cannes per la miglior regia.
The Fountain – L’albero della vita
Tommy Creo (Hugh Jackman) è uno scienziato moderno che cerca disperatamente la cura per il cancro che sta uccidendo la moglie Isabel (Rachel Weisz). Nella Spagna del XVI secolo, il conquistador Tomas Creo cerca l’albero della vita, pianta leggendaria che dona vita eterna a chi ne beve la linfa.
Partendo da questi due estremi Darren Aronofsky, che non è nuovo a esperimenti di un certo livello (aveva esordito con il complicato Pi greco il teorema del delirio), costruisce un viaggio metafisico sulla lotta di un uomo che vuole salvare la donna che ama, sballottando lo spettatore su vari piani che esulano abbondantemente dalla realtà. L’unico mondo che conta fermamente è quello interiore di chi guarda, tanto che i momenti in cui la storia si dipana con linearità finiscono paradossalmente per essere di disturbo al viaggio nel tempo. Un vero trip.
Holy Motors
Un uomo gironzola con la sua limousine per le strade di Parigi. Ogni volta che scende, cambia identità: uomo, donna, giovane, vecchio, malato, sano, ricco, povero.
Le personalità che assume quest’essere sono tante quanti gli aggettivi che si sono sprecati per definire il film di Leos Carax, premiato da numerosi festival in tutto il mondo. Visionario, rivoluzionario, unico, straordinario, surrealista. Forse una riflessione sul cinema stesso, condito di numerose critiche alla società e al mondo dello spettacolo. C’è chi ci ha rivisto Luis Buñuel, ma l’interpretazione migliore l’ho trovata in un commento a una recensione: “Notturno canto di morte che disorienta”. In bocca al lupo.
Enemy
La premessa è semplice: Adam (Jake Gyllenhaal), un solitario professore di storia, guardando un film si accorge che una comparsa è fisicamente identica a lui. Dopo aver trovato il suo sosia cercherà di capire il mistero che giace dietro a questa inquietante somiglianza. Ma non ci riuscirà.
La trama si complica di minuto in minuto, e culmina con la comparsa di un ragno gigantesco che cammina sulla città di Toronto. Ma che sarà mai! Durante il film, e temo anche dopo, potrebbero attanagliarvi un paio di domandine, tipo: il sosia esiste davvero, o è solo un brutto scherzo giocato dalla mente di Adam? E soprattutto, cosa rappresenta il ragno? La risposta non la sapremo mai: prima di firmare il contratto per partecipare alla produzione di questo gioiellino, non ancora distribuito in Italia, tutto il cast ha dovuto firmare un accordo di non divulgazione.
Cloud Atlas
Goose, Sachs, Hoggins e Zachry, più due uomini senza nome (tutti interpretati da un Tom Hanks in versione multitasking), sono sei personaggi di epoche molto diverse, ma accomunati dalla stessa anima, che tenta disperatamente di ricongiungersi all’amore della sua vita lottando contro le ingiustizie dell’umanità.
I fratelli Wachowski (quelli di Matrix) dirigono un’epica storia del genere umano, dove le azioni dei personaggi s’intrecciano e hanno ripercussioni tra passato, presente e futuro, ma non esattamente nell’arco di qualche annetto, che già sarebbe stato complesso: seguire un filo logico dal 1849 al 2321 è impresa ardua per tutti. Solo il trailer durava quasi 6 minuti (il film 172) e già non ci avevamo capito niente.