Google ha di recente introdotto nella sua sezione News articoli che presentano, prima del titolo, la dicitura Fact Check. Queste notizie attendibili dovrebbero essere il primo passo verso un’informazione digitale più accurata e attenta alla veridicità degli argomenti.
Il fact checking esiste da prima che venisse inventato internet. È la semplice, almeno a parole, pratica per cui un giornalista verifica che le notizie da lui riportate siano vere, siano state confermate da fonti attendibili o utilizzate da altre testate autorevoli.
Su internet funziona in maniera identica, ma è anche più complesso districarsi nell’enorme mole di informazioni, ed è per questo che numerosi siti si occupano esclusivamente di questo.
Google ha quindi deciso di premiarli introducendo tra le sue tag il Fact Check anteposto al titolo degli articoli estratti dai siti votati alla verifica dei fatti.
Etichette, Tag
Il tag è un modo di classificare un contenuto dandogli una parola chiave, un concetto di riferimento, in modo che possa essere associato ad altri contenuti pertinenti e che possa essere cercato e trovato per quello che rappresenta. È la maniera digitale di scrivere “Sugo di nonna Franca 2015” sul barattolo in modo che possiate prenderlo dallo scaffale senza rischiare di stupire gli invitati condendo i rigatoni con la marmellata di ciliegie. È un’etichetta.
E proprio come un’etichetta, al pari di “approfondimento” e “opinione”, è utile per identificare e far risaltare tra le migliaia di notizie che tutti i giorni circolano su internet quelle meritevoli di fiducia e che sono state controllate con cura da chi opera nel settore spesso per pura vocazione e senso della morale, come l’organizzazione volontaria Full Fact.
Un algoritmo del gigante di Mountain View riconoscerà in automatico la procedura utilizzata dai siti di fact checking nella loro fase di verifica.
Questi articoli appariranno tra quelli abituali, senza punire chi fa misinformazione, ma premiando chi la combatte.
Conviene. A chi?
Quella di Google è una mossa scaltra che arriva in un momento di grande fermento. Facebook è stato accusato di aver promulgato notizie false durante la campagna presidenziale degli Stati Uniti d’America. Nonostante questo accada da anni sul web, e da sempre sui giornali, sembra che il problema sia sorto solo adesso. Quasi fosse che più Facebook si impegna ad aumentare il suo traffico di notizie senza curarsi della loro attendibilità, più questa cosa gli si ritorce contro sotto forma di scandalo mediatico.
Google forse è troppo grande per avere una sola testa a cui puntare torce e forconi. Non ha nessun CEO iconico dall’aura odiosamente nerd da mettere in copertina ad impersonificare il suo software.
Forse, proprio per questa sua vastità, è stato capace di agire d’anticipo e implementare un servizio che avrebbe comunque dovuto essere garantito tempo addietro, con una patina di genuina sorpresa molto sospetta per il direttore della sezione Notizie del più visitato sito al Mondo: “Siamo entusiasti nel vedere la crescita della comunità del fact checking e nel richiamare l’attenzione sui suoi sforzi nel discernere i fatti dalla finzione, il buon senso dalla manipolazione” Richard Gringas, direttore di Google News.
Sembra strano che Google abbia deciso di smuovere la questione soltanto adesso, se si tiene in considerazione che, come Facebook, vive e si nutre di interazione tra utenti e traffico dati. Poche cose su internet viaggiano più di una notizia, e tra queste ci sono le notizie false.
Il motore di ricerca si è trovato probabilmente a considerare questo momento come un punto di non ritorno esattamente come per l’industria automobilistica è stato quello delle auto ecologiche.
Puntare sulla correttezza delle notizie diventa più proficuo, anche in termini di immagine, che ignorarla completamente.
Non stupisce troppo, quindi, che Facebook abbia rivisto la sua posizione dicendo di aver modificato l’algoritmo del news feed per rimuovere le bufale, salvo poi divulgare nel giro di tre settimane una manciata di notizie false o molto imprecise.
Se sia efficace il nuovo tag di Google non è ancora chiaro. Basterebbe la possibilità di rimuovere gli articoli etichettati con Fact Check dalla propria selezione giornaliera, magari distrattamente perché appaiono sempre seri e noiosi, per vanificare tutta la propaganda e rendere l’iniziativa tanto valida quanto invisibile. Questo accentuerebbe l’effetto bolla che da tempo affligge la percezione della realtà degli utenti di internet. Effetto collaterale del meccanismo che mostra solo quello che ci piace vedere.
Può essere un buon primo passo. Soprattutto se attira l’attenzione su chi combatte la cattiva informazione da molto prima che Google e Facebook si decidessero a provarci. Non può bastare; così estemporaneo è poco più di un gesto svogliato nei confronti di un meccanismo ben più difficile da risanare.