Domenica sera è uscita la prima puntata della quinta stagione di Homeland, che in Italia andrà in onda su Fox dal 30 ottobre 2015. Ecco perché seguire quella che è a tutti gli effetti una delle migliori serie in circolazione, una delle più amate dal pubblico americano.
Quando nella trama di un film o di una serie tv leggo parole come CIA, spionaggio, complotti, Iraq e Afghanistan, diciamo che tendo a non esaltarmi. Questi argomenti fanno generalmente parte di un prodotto ambientato su scala mondiale, che per raccontare la propria storia fa leva quasi esclusivamente su sentimenti patriottici e sull’adrenalina delle scene d’azione, lasciando sullo sfondo le sfumature nei rapporti tra i personaggi. Un qualcosa di poco intimo, decisamente più action/thriller che drama. Per questo ero scettico su Homeland – Caccia alla spia, che gli ideatori Howard Gordon e Alex Gansa hanno sviluppato basandosi liberamente sulla serie isrealiana Hatufim (titolo inglese Prisoners of War), già trasmessa in molti paesi europei ma non ancora in Italia.
La trama
Homeland si apre con la liberazione, dopo otto anni di prigionia, del sergente dei Marines Nicholas Brody (Damian Lewis), ritenuto scomparso in Iraq. Il suo rientro a casa è celebrato dall’intera nazione, che lo elegge eroe di guerra. Carrie Mathison (Claire Danes, meravigliosa interprete di una delle protagoniste femminili più forti degli ultimi anni), agente della CIA, sostiene invece che in realtà egli rappresenti una seria minaccia per il paese. Secondo lei, Brody si è convertito all’Islam, passando al servizio di al-Qaida. Poco supportata dai suoi superiori, Carrie inizia a indagare segretamente sulla figura del supposto nuovo eroe nazionale…
Perché Homeland è una delle migliori serie tv
Consigliato da un amico esperto sceneggiatore, ho deciso di buttarmi nella serie, nonostante non fossi convinto dalle premesse. Oggi, dopo quattro stagioni, ammetto di essermi totalmente ricreduto. Continuo a preferire serie con un’ambientazione più circoscritta e un’atmosfera più misteriosa, quasi filosofica, come True Detective e The Leftovers (di cui, come saprete benissimo se avete letto la nostra guida per il 2015-16, è uscita la prima puntata della seconda stagione). Ma con Homeland ho sperimentato un prodotto unico, solo apparentemente banale e già visto, coinvolgente, con livelli di tensione raggiunti solo dalle migliori, inarrivabili puntate chiave di Breaking Bad, più una particolare attenzione per i drammi morali e umani dei protagonisti. Dalla crisi familiare di Nicholas Brody alle turbe psichiche di Carrie Mathison, fino al difficilissimo dibattito sul conflitto USA vs Islam. Un prodotto dove la confezione commerciale nasconde un contenuto ben più complesso e interessante.
Dalla prima alla quinta stagione di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, le cose sono cambiate, i colpi di scena hanno imperversato senza sosta. Ma vale la pena ribadire, per chi non fosse ancora pienamente consapevole della pregevole fattura di Homeland, quali siano le grandi qualità di uno show che si sta ritagliando un ruolo centrale nell’immenso panorama delle serie tv.
Il vero punto di forza della serie è la capacità di coniugare la dinamicità dell’azione, portata dall’ambientazione “di guerra”, con un torbido approfondimento psicologico, un’indagine sulla natura ambigua dei personaggi. I ritmi non sono sempre alti, ma la tensione non cala mai. Le operazioni condotte sul campo di battaglia, le trame intricate, i sotterfugi, le bugie, i complotti, sono il pane quotidiano per qualsiasi thriller che coinvolga la più famosa agenzia di spionaggio mondiale. Ma la spirale distruttiva che deve affrontare Carrie, affetta da una sindrome bipolare, è il fattore chiave della narrazione.
Lei è l’unica a credere che Brody sia effettivamente un terrorista, mentre agli occhi di tutti i suoi colleghi è un integerrimo soldato americano: non proprio una situazione che aiuti a tenere a bada dei problemi psichiatrici pregressi. Nonostante ne abbia passate di tutti i colori, Carrie risulta spesso antipatica nel voler raggiungere i propri obiettivi a ogni costo, ma evidenzia sempre uno spirito combattivo davvero unico, commovente.
Homeland è una serie impegnata politicamente, ma non meno in grado di tenere incollati allo schermo. Vediamo a che punto eravamo rimasti e com’è partito il quinto capitolo.
Homeland 5×01
Nell’epilogo della quarta stagione, incentrata sulla lotta al terrorismo a Islamabad, tutta la delegazione della CIA torna in patria, dopo l’attentato all’ambasciata in Pakistan che sancisce il fallimento della missione americana. Saul (Mandy Patinkin), accordandosi con il terrorista Haqqani e con il suo alleato Dar Adal (F. Murray Abraham), ha davvero accettato di tornare a dirigere l’agenzia? Ma soprattutto, che ne sarà di Peter Quinn (Rupert Friend), chiamato ad una nuova missione, e di Carrie, sconvolta dal presunto accordo con Haqqani preso da Saul, proprio ora che avevano riconosciuto la natura dei loro sentimenti reciproci e pensavano di poter uscire insieme da una vita infernale?
Homeland 4 finisce rinunciando a grandi colpi di scena, ponendo i personaggi in un necessario e riflessivo confronto con se stessi e con i rispettivi obiettivi. Ecco dove li ritroviamo.
Sono passati più di due anni da quando la missione in Pakistan è fallita. L’unica ad aver davvero voltato pagina è Carrie, che ha girato le spalle a tutta la sua vecchia vita: ha lasciato l’agenzia, è una mamma modello che si prende cura della figlia, ha un giornalista come nuovo compagno e lavora a Berlino come capo della sicurezza di una ricca fondazione filantropica, comandata da Otto During (Sebastian Koch).
Quinn e Saul sono immersi in vecchie dinamiche: il primo è reduce da due anni passati in Siria ed è tornato ad essere la fredda macchina assassina che era quando lo avevamo conosciuto, il secondo è diventato capo della divisione europea della CIA a Washington.
La CIA e l’intelligence tedesca concordano una strategia per affrontare l’arrivo in Europa di jihadisti siriani in fuga dalla guerra (l’attualità è un’altra grande forza della serie), ma i file che documentano questi accordi top secret vengono hackerati. L’incidente porta a Berlino Quinn e Saul, mentre anche Carrie deve riallacciare (suo malgrado) i rapporti con la CIA, quando During decide di andare proprio in Siria, dove sembra voler agire da distaccato benefattore per arginare l’emergenza rifugiati, staccando un copioso assegno.
Mentre si è in attesa dello sviluppo di questa nuova cospirazione internazionale, ci si rende subito conto di come la nuova Carrie non potrà durare a lungo. Ha passato gli ultimi 10 anni della sua vita a uccidere gente: smettere di punto in bianco non è possibile. Questo conflitto sempre più irrisolvibile rende l’inedita quinta stagione ancor più interessante. Per quanto possa tentare di cambiare vita, Carrie deve sempre fare i conti col suo passato. Dopo tutte le battaglie (o meglio, le guerre) che ha combattuto, è ancora la donna ambiguamente forte e fragile di sempre, ma sembra più stanca. La domanda più grossa è come riuscirà a reggere un nuovo coinvolgimento sul campo (che lo farà è piuttosto ovvio), cercando anche di risolvere il suo rapporto con Quinn e soprattutto quello con Saul, apparentemente compromesso.
Le prime due stagioni sono state acclamate dalla critica e pluripremate agli Emmy e ai Golden Globe, con Claire Danes premiata come miglior attrice protagonista nel 2012 e nel 2013. La scomparsa di Brody alla fine della terza stagione, giudicata la più debole, ha fatto ripartire tutto da zero, concedendo nuova linfa a una serie che può vantare un risultato molto difficile da raggiungere in ambito televisivo: quello di aver rialzato la testa ed essere tornata ai livelli di un tempo. La quarta stagione è stata una bomba a sorpresa. Il primo episodio della quinta fa ben sperare, se non altro per la difficoltà nel prevedere i prossimi sviluppi. Se Homeland ci ha insegnato una cosa, è che non dobbiamo mai dare niente per scontato…