Tre Golden Globe, dodici nomination agli Oscar, il tormentone Di Caprio, la potenza oggettiva del film: Revenant, diretto da Alejandro G. Iñárritu, è sulla bocca di tutti.
Alejandro González Iñárritu è un cannibale e si sta mangiando cinema e spettatori. Sembra che per il regista messicano sia iniziata una nuova carriera, divisa in due dalle attenzioni che pubblico e Academy gli hanno riservato: un prima e un dopo Birdman (4 Oscar, 9 nomination), il film che l’ha consegnato definitivamente al grande pubblico.
Iñárritu cannibale mediatico
Andiamo con ordine, rapidamente. Iñárritu ha scritto i suoi primi tre film (Amores Perros, 21 Grammi, Babel) con Guillermo Arriaga, narratore di fama internazionale che aveva sempre tenuto ben salda nelle sue mani l’anima delle opere. Il processo di “commercializzazione” di Iñárritu è graduale e vede una svolta decisiva nel 2010 con la separazione da Arriaga. È l’anno di Biutiful, con Javier Bardem.
Il successivo Birdman, pluripremiato e venerato dalla critica, lo lancia una volta per tutte nel panorama delle star, ma è con Revenant che Iñárritu ha definitivamente catalizzato tutte le attenzioni su di sé. Diamo due numeri: Revenant è stato distribuito nelle sale statunitensi dal 25 dicembre 2015, incassando nel primo weekend 39,8 milioni di dollari, seconda posizione al botteghino, subito dopo Star Wars: Il risveglio della Forza. In Italia il film ha fatto segnare quota tre milioni e mezzo di Euro nel weekend d’apertura, riuscendo a primeggiare anche sul campione d’incassi Quo vado?.
A Milano addirittura, dal 13 gennaio al 1 febbraio, è in corso “Flesh, Mind and Spirit”, una rassegna gratuita di 15 film scelti da Iñárritu, in collaborazione con Elvis Mitchell, critico cinematografico e curatore al LACMA di Los Angeles. I gusti e le ispirazioni di Iñárritu meritano una rassegna a parte. Non so quali altri registi possano dire lo stesso.
Com’è stato possibile tutto ciò? Cosa fa di Iñárritu un regista di riferimento e come ha fagocitato attenzioni da ogni dove?
Iñárritu cannibale artistico
Innanzitutto ha realizzato un film mainstream. Per la presenza di Leonardo Di Caprio, l’attore più chiacchierato del pianeta, per il budget (135 milioni di dollari, non proprio spicci), per la massiccia distribuzione. Ma lo ha fatto aggredendo il pubblico, lanciandosi in un’opera che si mangia le esigenze narrative dello spettatore per sbattergli contro la dura realtà: oggi, al cinema, della trama ce ne possiamo fregare alla grande.
Lo dimostrano anche le dieci candidature di un altro film dalle poche parole e molte immagini, Mad Max: Fury Road. Nelle sale di oggi la tecnica, la fotografia, un approccio quasi animale all’arte cinematografica la fanno da padrone, lasciando paradossalmente alla televisione il ruolo di strumento intrattenitivo colto, dove grandi temi e narrazioni trovano casa nelle migliori serie tv.
Iñárritu ha capito cosa vuole il pubblico, gliel’ha dato senza filtri, annullando ogni altra componente. Un film estremo per un pubblico larghissimo. Non accade così spesso. Iñárritu si sta sbranando la concorrenza.
Le influenze di Iñárritu
Ma non tutti hanno apprezzato. Da quando Revenant è uscito nelle sale, solo pochi giorni fa, siamo stati costretti a sentirne di ogni. È noioso, è lento, è un mero esercizio di stile, Di Caprio vincerà l’Oscar proprio quando non lo meriterebbe, più un altro vasto assortimento di allegre corbellerie. Il film invece spacca, eccome. E ciò vale sia per gli spettatori più maniacali, che potranno riconoscere influenze, citazioni e omaggi a molti altri film, sia per il pubblico meno esigente, che non potrà fare a meno di essere visceralmente travolto da scene come quella con l’Orso protagonista.
La prima lode riguarda la scelta di non girare neanche una scena in green screen, dando alle immagini una forza maggiore e veritiera. Immagini che, per gli occhi cinefili più esperti, urlano una disperata voglia di Terrence Malick (La sottile linea rossa, The Tree of Life; non a caso il direttore della fotografia di Revenant è un suo abituale collaboratore, Emmanuel Lubezki), arrivando soltanto a sfiorare la profondità visiva ed emotiva del maestro di origini siriane.
In più di una sequenza è evidente come Iñárritu abbia voluto porre l’accento sulla bellezza instabile della Natura. Sul caos violento e disintegrante che vi regna sovrano (il pensiero si posa, ovviamente, sulla scena dell’attacco del Grizzly, del branco di lupi in caccia e della notte nel ventre del cavallo). Tutti elementi che fanno fischiare le orecchie di chi osserva un nome e un cognome: Werner Herzog.
Non mancano neppure influenze orientali: la vendetta pare avere una valenza profonda e sacrale come solo i migliori coreani riescono a trasmettere (nel progetto originale, guarda caso, il regista doveva essere una nostra vecchia conoscenza: Park Chan Wook). Se poi si osserva con attenzione il personaggio di Fitzgerald, splendidamente interpretato dal sempre sontuoso Tom Hardy, cattivo per necessità, non per dolo, il pensiero non può che indirizzarsi verso i non-malvagi del maestro dell’animazione nipponica Hayao Miyazaki.
La grandezza di Revenant
Ma è forse un reato avere una fonte d’ispirazione? Una stella polare a cui rivolgersi? (Se così fosse, un certo Quentin Tarantino andrebbe impiccato sul ramo più alto dei suoi detestabili otto. Ma non riteniamo che debba essere così). A fronte di questi possibili richiami, il lavoro di Inarritu perde forza o valore? Assolutamente no.
Redivivo è un’opera immensa, generosa nell’emozionare e regalare immagini potentissime, con musiche essenziali pronte a esplodere solo quando servono, nei momenti topici.
Un’esperienza povera di dialoghi e con una storia non particolarmente articolata e approfondita. Per il semplice fatto che non è quello lo scopo del film. Non si tratta di srotolare una narrazione che compiaccia lo spettatore con colpi di scena o mirabolanti battute ad effetto. Redivivo è la brace del bivacco che sale verso il cielo, dove le sequoie sembrano aggrapparsi alle stelle; è carne sanguinante, in putrefazione, esposta al gelo e al vento del Montana; è l’assalto del Grizzly, che ci tiene in bilico sulla punta della poltrona quasi ci fossimo noi sotto gli artigli dell’orso.
Sostanzialmente, Revenant è destinato a restare. Per sempre. Rimarrà nella mente e nell’immaginario collettivo come un film di grandezza assoluta.
Due parole sul buon Leo. Una prova tutta muscoli ed espressività, diversa ma addirittura superiore al Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street (vederlo strisciare nella neve non vi ha ricordato la scena in cui, strafatto di pillole di quaalude, cammina carponi fino alla Lamborghini?!). Ci auguriamo che la sua violenta scalata dalla fossa possa valergli la tanto sospirata statuetta dorata. La merita davvero.
L’unico che potrebbe rubargli il palcoscenico è Iñárritu il cannibale.
[Alessio Rocco e Marco Piva]