È in sala La ragazza senza nome, l’ultimo lavoro dei fratelli Dardenne, maestri del cinema contemporaneo. Un film per chi è costretto a prendere scelte difficili e affronta sfide più grandi di lui. Ai supereroi di tutti i giorni.

Un film dei fratelli Dardenne è quanto di più aderente alla realtà si possa immaginare. Una chiara visione d’autore, contenutistica e stilistica, che ha saputo indagare la vita nei suoi aspetti quotidiani più concreti, dagli anni novanta a oggi.

Se per un critico cinematografico il mondo dei buoni è quello dei film da festival, autoriali, o come diavolo vogliamo chiamarli, il lato oscuro ha le sembianze di Michael Bay e di almeno un paio degli Avengers. Mondi opposti, diametralmente opposti. Ho provato a conciliarli dopo aver guardato il nuovo film dei Dardenne, La ragazza senza nome, che ho visto in anteprima a Cannes qualche mese prima dell’uscita italiana.

La protagonista non era veloce come la luce, non aveva nessun lazo della verità, non poteva scatenare tempeste o controllare le previsioni del tempo (anche se farebbe comodo, di questi tempi). Ma mi ha ricordato un eroe, con la “E” maiuscola. Siccome non sono un esperto di miti greci, ho azzardato un paragone con gli eroi che conosco meglio, quelli Super.

Breve riepilogo. Se dico “supereroe” dico Spider-man (quello con Tobey Maguire, occhio), magari Iron Man (un po’ più alla moda), o i classici Batman (tutti, da Tim Burton a Nolan) e Superman (possibilmente non vs Batman, che film del cazzo).

In mancanza di mezzi, cioè di milioni di dollari da sputtanare in esplosioni e mostri alieni in computer grafica, i Dardenne hanno scelto una strada un po’ diversa. Sì, anche loro si occupano di supereroi, ma quelli di tutti i giorni. Si può passare da Marvel e DC fino al thriller d’autore dei registi belgi: la Liegi-Gotham-Liegi è un percorso più breve di quanto pensassi.

Immaginiamo qualche esempio che unisca il diavolo e l’acqua santa: se Joss Whedon (The Avengers, The Avengers: Age of Ultron) diventasse un regista impegnato, i suoi nuovi eroi si chiamerebbero Super Postino, Capitan Fornaio, Giornalaio Man.

E Iron Mamma, di cui è già uscito il primo episodio.

Se ci fosse uno spin-off, come nei migliori film della Marvel, vedrei bene la ragazza di colore come protagonista. Riguardate come si indigna subito all’assurda prima domanda del selezionatore. Eroe.

La ragazza senza nome: un’eroina che combatte il senso di colpa

Dopo la palma d’oro con L’enfant e un altro paio di capolavori tipo Due giorni, una notte, che avevamo amato non poco, il duo belga è tornato sulla croisette e poi in sala con La ragazza senza nome.

La storia parla di Jenny, una giovane dottoressa che vuole scoprire l’identità di una paziente trovata morta. La ragazza senza nome, chiamata così perché ritrovata inerme e senza documenti, si era presentata un’ora dopo la chiusura dell’ambulatorio in cui lavora Jenny, che con estremo rigore e disciplina l’aveva mandata via.

Innanzitutto, se assumiamo Jenny come eroina del mondo Marveliano, notiamo subito qualcosa di particolare nel modo in cui viene presentata nella storia. Di lei, così come del cadavere misterioso, non sappiamo nulla di privato. Ci entriamo in contatto solo tramite la sua attività “Super”, il suo lavoro.

Un Peter Parker che di mestiere appende criminali ai palazzi con le ragnatele, ma nel tempo libero sicuramente non fa il fotografo e non si limona Mary Jane. Lavora tutto il giorno e non ha famiglia, né donne occasionali.

Per carità, MJ può anche non piacervi (fatevi avanti se avete il coraggio), e come si dice il lavoro nobilita l’uomo. Ma non vi sembra un ragazzo un po’ solo, questo Peter Parker versione Festival del Cinema di Locarno?

Le scelte sul personaggio dei Dardenne attaccano una società individualista, dove il singolo è lasciato completamente solo, alla disperata ricerca di risposte.

Per Jenny il lavoro è un’esperienza totalizzante, che l’ha portata ad assumere un atteggiamento molto freddo nei confronti della vita. In sintesi, La ragazza senza nome ritrae un individuo solo di fronte ai propri drammi esistenziali. Jenny ha scelto di offrire aiuto al prossimo, pretendendo in cambio un totale distacco, dai pazienti ma anche da chi potrebbe diventare un collega. Per lei è indispensabile essere inflessibili per poter esercitare al meglio la professione di medico. E di essere umano.

Ma è proprio quel distacco a non poter essere esercitato tra sé e un corpo abbandonato senza nome. Il senso di colpa avvolge la nostra protagonista, le si cuce addosso come un costume su misura che calza talmente bene da non poterselo più sfilare via. E così la sua ragione di vita diventa la soluzione dell’enigma.

Salvare una metropoli e combattere il crimine non è poi così complicato. Chiudere la porta in faccia a una donna che muore per colpa mia, perché così mi suggerisce la mia coscienza, ecco quello me lo eviterei.

Lo stile dei Dardenne: ciò che normale non è

Tutte queste questioni drammaturgiche fondamentali non bastano a definire La ragazza senza nome un film “strabiliante” e coinvolgente come un Cavaliere Oscuro qualsiasi.

Per questo il linguaggio dei Dardenne merita particolare attenzione, per capire come sono riusciti a rendere questo film un vero thriller. Dovreste vedere La ragazza senza nome perché sembra un film normale, quando in realtà è Super. È un confine difficile da cogliere, ma è bello imparare a farci caso.

Sicuramente i più esperti avranno riconosciuto una messa in scena che a questo punto della loro carriera può suonare già vista, noiosa. Sintomo di un cinema che si ripete con una costanza preoccupante. La mia vicina di posto a Cannes l’ha definito “Un buon episodio di Montalbano, che poi non è nemmeno così male.

Ma per un quasi neofita come me (oltre a Due giorni, una notte avevo visto solo Rosetta), è stata una vera scoperta capire come riescano a rubare alla realtà solo ed esclusivamente i frammenti essenziali.

Nei loro film non c’è una scena sbagliata o inutile, anche la più banale. Ogni azione è davvero importante. Se un personaggio si lava i denti, serve. Se guarda fuori dalla finestra e sembra stia solamente contemplando il nulla cosmico, serve.

Ed è loro anche il merito di aver sdoganato il “cinema di pedinamento”: in sostanza, una camera a mano segue il protagonista in ogni suo spostamento, quasi senza tagli di montaggio. L’inquadratura da dietro che prende spalle e capo del personaggio è stata letteralmente istituzionalizzata da loro, a partire dalla Palma d’oro a Rosetta. Iper-realismo tutto concentrato sull’essere umano, dove la manipolazione filmica è ridotta all’osso.

Oggi la tecnica consente qualsiasi cosa, ma loro girano come trent’anni fa, risultando più attuali degli altri. Non a caso gli ultimi due film trattano della crisi, del precariato e della ricerca di identità delle nuove generazioni. E i due belgi avevano già parlato di cosa significhi essere giovani genitori nei film precedenti. Insomma toccano da sempre corde universali.

La nostra Mystica o Wonder Woman di turno, interpretata da Adèle Haenel, già vista nella bellissima opera prima The Fighters e nome di ormai sicuro affidamento tra le giovani attrici francesi, è al cinema dal 27 ottobre.

Il nuovo film dei fratelli Dardenne esalta i supereroi di tutti i giorni ultima modifica: 2016-10-27T11:47:09+00:00 da Alessio Rocco