Fresco di partecipazione a Venezia, arriva nelle sale “Il giovane favoloso”, sentito racconto sul Giacomo Leopardi. A interpretare il poeta un grandissimo Elio Germano, definitivamente asceso nell’olimpo dei migliori attori italiani contemporanei.
Il giovane favoloso è il decimo lungometraggio del regista Mario Martone, personaggio che spesso naviga al di fuori dei riflettori e che rappresenta una vera garanzia nell’ambiente drammaturgico italiano: regista teatrale, sceneggiatore e regista cinematografico, grande esperto della vita e delle opere di Leopardi. Forse nessuno meglio di lui poteva raccontare questa storia.
Senza però perderci in notazioni storiche sul poeta o nei percorsi biografici degli autori del film, diciamo subito perché vale la pena andarlo a vedere al cinema. Il film ha essenzialmente un grande pregio: trasmette perfettamente la sofferenza fisica e intellettuale di Leopardi, testimoniando come il genio e la sensibilità si esprimano al meglio solamente sotto enormi difficoltà.
L’ingombrante presenza del padre, la reclusione a Recanati, la religione, lo studio ossessivo e le fortissime pressioni sociali di quei tempi sono solo alcuni dei fattori che plasmano l’animo del poeta nella prima parte del film. Leopardi è relegato a una vita di “vile prudenza”, costretto a scrivere le “lettere buone” e non le “lettere belle”, come un “animale che vuole solo conservare la propria vita”. “Tocca la statua” gli dice l’amico Pietro Giordani in chiesa, perché il gesto della percezione fisica delle cose gli è completamente estraneo. Tanto ha accumulato nella mente, quanto si è perso dei piaceri materiali della vita. Come detto, queste difficilissime condizioni di vita, miscelate con una sconfinata cultura (come è noto, lo studio era la sua unica occupazione) sono le cause che portano Giacomo Leopardi a sviluppare una visione e una percezione del mondo straordinariamente non convenzionali.
Ma c’è dell’altro, perché l’aspetto più interessante del suo personaggio è la sua natura profondamente ribelle, la sua volontà, il suo “animo ardente e disperato” che sbatte in una gabbia come un orso infuriato. I movimenti della sua vita interiore, le sue necessità espressive, i suoi bisogni, trovano sfogo nella sublime poesia che noi tutti conosciamo.
Il suo cuore lo spinge a scappare verso una bellezza artistica infinita (Elio Germano è stato straordinario tanto nella prova fisica quanto in quella vocale, perché le sue letture sono di un’intensità dirompente, il finale sul Vesuvio è magnetico). I tormenti e le sofferenze sono comuni a molti, la capacità e soprattutto la forza di renderli poesia è riservata a pochissimi. La prova immensa di Germano fa passare in secondo piano gli aspetti forse meno riusciti, tra cui il ritmo compassato della parte centrale che stona con il resto del film.
Infine, va sottolineato l’approccio molto real e poco spettacolare o mitizzato da parte del regista, capace di restituire un ritratto sincero e sentito di un grande uomo che va alla ricerca dell’amore, non della gloria, e nel farlo soffre terribilmente. Eppure, nonostante dicesse di odiare la vita, è riuscito a farcela amare.
Volate al cinema!
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