Siamo sempre molto felici di pubblicare i contributi inviati dai nostri lettori. Ecco la lettera/flusso di coscienza di Luca, che si rivolge ad alcuni amici di sempre, quelli con cui è cresciuto e ha sempre condiviso idee e pensieri sulla politica e sul diritto, fino alla riforma Renzi-Boschi.
Ultimamente mi è capitato di leggere sui vari social le dichiarazioni di voto di alcuni amici in merito al referendum, quel tipo di persone che ho sempre considerato affini al mio pensiero politico, appartenenti al mio stesso codice valoriale. Sono rimasto stupito se non letteralmente scioccato dalla loro presa di posizione a favore di questa riforma, non perché non potessimo avere visioni o idee diverse, ma perché mi sembra che si siano tutti dimenticati di una serie di aspetti sui quali risulta impossibile sorvolare. Ma anziché molestarli nei commenti sui loro profili, provo invece a rispondere ai loro post a sostegno del Sì qui, senza cercare lo scontro ma tentando un’analisi razionale su un paio di questioni.
“Ciao amico mio, ho avuto modo di leggere con calma e con la mente il più aperta possibile tutto quello che hai postato sul referendum. Su alcune cose sono d’accordo e su altre meno e proprio per questo proverò ad andare oltre, o meglio a monte, della questione referendum. Perché a parer mio c’è un aspetto fondamentale alla base di tutto questo assurdo dibattito, che rimane però sempre in secondo piano, chissà perché.
Come credo avrai capito, io propendo decisamente verso il No, forse sbagliando, ma a prescindere dalle mie motivazioni, vorrei provare a puntare l’obiettivo sul METODO invece che sul MERITO, perché è l’aspetto della riforma che più evidenzia problematiche non trascurabili.
Se la memoria non mi inganna, nel 2013 avevi votato per il Partito Democratico, come fino ad allora avevo sempre fatto anche io. Il punto 3 del programma elettorale del PD di quei tempi recitava: “La sola vera risposta al populismo è la partecipazione democratica. La crisi della democrazia non si combatte con ‘meno’ ma con ‘più’ democrazia. Più rispetto delle regole, una netta separazione dei poteri, una vera democrazia paritaria e l’applicazione corretta e integrale della costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo. Siamo convinti che il suo progetto di trasformazione civile, economica e sociale sia vitale e per buona parte ancora da mettere in atto”. Sappiamo tutti poi com’è andata a finire, tra la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale e il cambio in corsa tra Letta e Renzi.
Ci ritroviamo quindi in un contesto politico con un Parlamento legittimo ma eletto con una legge illegittima, con il candidato premier del 2013 (Bersani) che ha “non vinto” le elezioni e che ha dovuto cedere il posto a un altro leader (Letta) per un governo di larghe intese (mai annunciato né previsto in campagna elettorale), e che a sua volta è stato fatto poi fuori dall’attuale Presidente del Consiglio (e meno male che la stabilità dei governi dipende dalla Costituzione). Dopo tali vicissitudini, l’attuale primo ministro decide di mettere mano alla costituzione (metà ovviamente, non solo a un paio di articoli su cui credo saremmo stati tutti d’accordo), ignorando così il programma elettorale sopracitato che ha permesso al suo partito di prendere i voti che consentono ancora oggi (a lui) di avere la maggioranza.
Ora, mettiamo che modificare la costituzione fosse veramente necessario come si sente dire, come ha chiesto Napolitano ecc… Quello che è certo, è che sia dovere delle forze di maggioranza e del Presidente del consiglio, elaborare una riforma condivisa ben oltre la stessa maggioranza di governo. Questo non solo perché è bello da dire, ma perché la costituzione è e dev’essere di tutti, al di sopra di ogni identità politica, non può essere un elemento divisivo, altrimenti non è più neanche una costituzione e perde il suo significato. Per fare ciò sarebbe utile evitare di modificare oltre 40 articoli della carta, perché come sappiamo bene è difficile ottenere un compromesso o un accordo su un singolo punto, figuriamoci su un numero tale di articoli. Proprio a causa di un “metodo” sbagliato accade quello che oggi indigna tutti: la pessima qualità del dibattito, la propaganda campata in aria, le ansie legate alle conseguenze di un risultato o dell’altro, la personalizzazione del voto ecc…
Tutto ciò è solo la naturale conseguenza di un metodo errato e forzato. Invece di dare stabilità politica si rischia di creare instabilità sociale, dando modo alle minoranze di rivendicare (legittimamente) una “alterazione della democrazia” (come se i populismi non avessero già abbastanza armi nelle loro mani, diamogliene ancora un po’). Questo è un pericolo che una persona democratica, di sinistra e idealista non può non considerare. Noi (perché nonostante tutto mi reputo ancora una persona di sinistra) abbiamo sempre sottolineato l’importanza di avere un’attenzione particolare alle regole non scritte, ai principi di buona politica, ai programmi, agli equilibri, all’etica, ai linguaggi e soprattutto ai metodi. Perché solo una forte cultura, non tanto personale ma soprattutto politica e sociale, è la soluzione alla maggior parte dei problemi di questo paese, e rappresenta l’unica strada per una vera vittoria nei confronti dei cosiddetti “populismi”. Anche la più perfetta e studiata delle riforme costituzionali non può sottrarsi a queste regole, e se lo facesse meriterebbe di fallire miseramente.
È possibile che tutti questi temi non sfiorino il tuo pensiero ne spostino minimamente il tuo giudizio? È possibile che non ti provochi nessun malessere l’idea di avere una costituzione che non rappresenti più quasi metà del paese, e che tu non riconosca la gravità assoluta di questo fatto? Politicamente io e te siamo su due strade diverse da alcuni anni, ma non si può dire che non abbiamo avuto gli stessi riferimenti culturali. Nonostante ciò, questa riforma non solo ha diviso il paese in due, ma è riuscita nella mirabolante impresa di frammentare anche le singole posizioni interne agli stessi movimenti politici e a quelle stesse scuole di pensiero. Io oggi, ad esempio, mi ritrovo dalla parte di chi la pensa in modo totalmente diverso da me su tutto, di chi è sempre stato il mio “nemico” politico. Inizialmente me ne vergognavo e la cosa non nego mi tormentasse, poi ho realizzato che parlando di costituzione è soprattutto per questo che sto da quella parte, perché non voglio perdere l’unico elemento che abbiamo mai condiviso e che ci abbia mai unito, l’unico elemento sotto il quale ci siamo veramente riconosciuti più o meno tutti. Perciò che io voglia proteggere o cambiare la costituzione devo farlo per forza anche con loro. Io ho le mie ragioni (valide o meno che siano) per votare No nel merito della riforma, ma non contano niente rispetto a questo, perché quello che desidero più di ogni cosa è difendere il significato e il concetto stesso di “Costituzione”. Non voglio votare né Sì e né No, non voglio semplicemente che il quesito mi venga posto a queste condizioni, credo che nessuno di noi lo voglia. Per questo abbiamo perso in partenza, tutti, perché non c’è una risposta giusta, è la domanda che è sbagliata.
Detto questo, nemmeno penso si possa liquidare la doppia questione del metodo e del merito con un: “Il 4 si vota, la situazione è questa, e anche se la riforma non è perfetta è comunque un passo avanti”. Perché se non si dà importanza o non si crede più in tutti questi principi, nei capisaldi che stanno alla base del funzionamento di ogni democrazia, la si smetta almeno di definirsi democratici, di sinistra ecc ecc. E si ammetta di essere stati infettati dallo stesso populismo che tanto condanniamo, ma che quando ha il nostro stesso colore non riusciamo più a riconoscere ed evitare.