Da metà dicembre Netflix ha tolto il velo su Marco Polo, nuova serie tv di ambientazione storica prodotta per contrastare il successo di Game of Thrones di HBO. Per quanto il valore simbolico del personaggio centrale, il celebre esploratore veneziano del XIII secolo, ricordi l’importanza ancora attuale del dialogo tra Oriente e Occidente e un tratto fondante dell’identità culturale italiana (quello del viaggio), errori storici, sceneggiatura rivedibile e mancanza di epicità non qualificano Marco Polo come una serie tv eccellente.
Il 12 dicembre 2014 ha debuttato su Netflix, il celeberrimo canale streaming americano che ha portato al successo House of Cards, la nuova serie tv d’ambientazione storica: Marco Polo, che segue la vita del celebre esploratore lungo i suoi viaggi nel Catai e alla corte di Kublai Khan.
Nello Xanadu alza Kubla Khan dimora di delizie un duomo dove Alph, il fiume sacro, scorre per caverne vietate all’uomo…
Il trailer della serie tv Marco Polo
Interessante è il cast di questa produzione americana: a interpretare Marco sarà Lorenzo Richelmy (attore di La Spezia, classe 1990), mentre Nicolò Polo, il padre e compagno di viaggio, verrà portato sullo schermo da Pierfrancesco Favino. Benedict Wong (attore inglese della scuderia BBC) sarà Kublai Khan.
Note dolenti, problemi ed errori storici in Marco Polo
La serie è stata per altro funestata da alcuni problemi non da poco, infatti fu originariamente ideata per Starz (canale che produce Da Vinci’s Demons, Outlander, Black Sails e molti altri), per essere in un secondo momento ceduta a Netflix. La nota rigidezza del governo mandarino ha impedito poi ai produttori di proseguire le riprese in territorio cinese, spostate, così, in Kazakistan e Malesia. Come se non bastasse, in quest’ultima location, uno stuntman del film è rimasto coinvolto nell’incidente aereo dell’estate scorsa del Malaysian Air Flight MH370.
Dopo i problemi che sono sorti durante la sua realizzazione, passiamo alle le note dolenti di questa serie tv. Marco Polo non è il nuovo Game Of Thrones, su questo punto non facciamoci illusioni. In questa produzione Netflix l’intento era quello di creare un prodotto epico-storico che rivaleggiasse con la ben nota serie della HBO. Un buon cast servito da una mediocre sceneggiatura non può fare più di tanto.
Altra nota doverosa è quella relativa agli errori storici. Fortunatamente per John Fusco non siamo tutti esperti di storia orientale, ma basta una breve ricerca per scoprire che Ariq, il fratello minore di Kublai, non è morto in un duello all’ultimo sangue con il Gran Khan (come la serie vuol far credere), ma dopo due anni di prigionia nelle celle di Cambulac (odierna Pechino), così come Jiao Sidao, il perfido consigliere dei Song, in realtà era un omino alquanto innocuo.
Errori storici ma non solo. Quello che manca a Marco Polo è soprattutto il senso di epicità che travolge e sconvolge lo spettatore di fronte a un assedio del Fosso di Helm (Signore degli Anelli – Le Due Torri), o a un monologo come quello di Tyrion Lannister al suo processo (Game Of Thrones, episodio The Laws of Gods and Men) o persino di fronte a una scena leggendaria come quella del duello fra Luke Skywalker e Darth Vader (‘I am your father!’, Star Wars – L’Impero Colpisce Ancora). Il rivale storico di HBO, Trono di Spade, ha sicuramente vinto la battaglia con Netflix nel tratteggio e nell’approfondimento psicologico dei protagonisti (Cersei Lannister è forse uno dei personaggi ‘negativi’ meglio riusciti degli ultimi anni). A Marco Polo manca questa caratterizzazione dei personaggi e la responsabilità è tutta degli sceneggiatori.
Pregi della serie e valenza simbolica di Marco Polo
Forse Marco Polo non è la serie che ci aspettavamo, ma in ogni caso ha delle qualità da non sottovalutare. Certo, il valore simbolico del viaggio dell’esploratore veneziano sta nell’aver messo in comunicazione culture molto distanti mantenendone il significato intrinseco: Polo e il Gran Khan hanno cominciato un dialogo che non sarebbe mai finito, quello fra Occidente e Oriente.
Marco Polo, l’uomo che ha aperto le vie per l’Oriente, è, infatti, sempre stato una sorta di simbolo, un personaggio mitizzato nella cultura italiana: anche chi non conosce i dettagli del suo viaggio, ha comunque una visione iconica dell’uomo. D’altronde Marco Polo non è l’unico grande esploratore italiano: da Cristoforo Colombo ad Amerigo Vespucci, da Giovanni da Verrazzano ai Caboto, padre e figlio, fino a Roberto Nobile, l’Italia ha sempre primeggiato nelle scoperte geografiche, ma soprattutto nel saper andar oltre i confini delineati, sospinta dalla curiosità di conoscere che ha sempre mosso il nostro popolo.
Il viaggio fa dunque parte della nostra identità culturale, anche se troppo spesso lo dimentichiamo. Marco Polo ci richiama all’ordine: la curiosità verso il mondo e verso gli altri che spinge l’uomo a varcare la soglia di casa, ad abbracciare altre culture, altre usanze, a imparare a conoscere le diverse sfumature della realtà che ci sta intorno, è la sua eredità e il suo lascito più importante. Ne Le Città Invisibili di Italo Calvino, Marco e Kublai mettono in comunicazione due mondi che sembrano destinati a scontrarsi e riescono a trovare un modo per conoscersi e imparare l’uno dall’altro senza perdere se stessi o tradire la propria identità.
Purtroppo quest’insieme di aspetti fondamentali traspaiono solo in parte nella serie. Tuttavia, come prodotto di origine americana, Marco Polo non si qualifica così negativamente: la storia ha un buon motore e incontra una certa solidità recitativa. Inoltre il tentativo di fare dell’esploratore italiano una sorta di poeta guerriero non è da buttare, espediente a cui certamente contribuiscono scene di kung fu ben coreografate.
Nella mia patria sto, come ho detto, libero e sano; talvolta la gente mi saluta come un grande cittadino; ma che ci può essere di grande in me se non il mio umile riconoscente modo di amare, Signore, la tua creazione?
Maria Bellonci, Marco Polo