Avere il coraggio di esprimere le proprie idee. Avere la forza di non accettare la strada del successo facile per poter rimanere se stessa. Questa è MIA! Scampata alla guerra civile in Sri Lanka, è riuscita a ottenere il meritato successo senza dimenticare le sue tradizioni.
In Italia la conoscenza e la distribuzione della musica indiana (puntini, non penne) si sono fermate al minimo sindacale. Se siete rimasti al discutibile video trash in stile Bollywood di “Mundian To Bach Ke” e alla hit “Jogi” di Panjabi MC, non demordete. C’è più e molto meglio di questo! Certo, la musica che oggi ci viene venduta come indiana non è mai tale al cento per cento. Gli artisti sono quasi tutti britannici originari del subcontinente. Però esistono anche storie più particolari: una di queste è quella che riguarda Mathangi “Maya” Arulpragasam, nota ai più come MIA.
La storia di MIA, in fuga dalla guerra civile
Maya nasce nel 1975 a Londra da genitori di etnia tamil dello Sri Lanka, i quali decidono di tornare nel paese d’origine sei mesi dopo la nascita della bambina. Si trasferiscono a Jaffna, capitale della Provincia del Nord Sri Lanka, dove trovano una situazione sociale esplosiva. Nel Nord, a maggioranza tamil, è scoppiata la guerra civile tra il gruppo armato delle Tigri Tamil e l’esercito cingalese. In questo clima rovente, il padre fonda un’organizzazione politica affiliata con il gruppo LTTE, prendendo posizione contro il governo centrale.
Negli anni successivi la vita di Maya è sconvolta dalle conseguenze della guerra civile. La sua scuola elementare rimane distrutta dopo un raid. La sua famiglia, costantemente in fuga, è costretta a nascondersi dall’esercito, mentre i contatti con il padre diventano sempre meno frequenti. La madre decide di aver visto abbastanza, e riesce ad ottenere la possibilità di far ritornare la famiglia a Londra con lo status di rifugiati politici. L’undicenne Maya trova così la pace e la serenità necessarie a sviluppare le sue già evidenti doti artistiche.
Arular, il primo album, è il nome del padre di MIA
Facciamo un salto in avanti di vent’anni. È il 2005. Maya pubblica, con il nome d’arte MIA, il suo primo album: Arular, dal nome del padre rimasto in Sri Lanka a mediare tra le Tigri e il governo. Il disco, che vede collaboratori del calibro di Diplo e Bill Conti (se dico Rocky?), è un mix detonante di ritmi tribali, atmosfere indiane, dance e reggae. Il tutto arricchito da un costante impegno politico, espresso dai testi, ma non solo. Mi riferisco al video di “Sunshowers”. MTV pretende di tagliare la frase “Proprio come l’OLP io non mi arrendo”, ma MIA rifiuta categoricamente, andando incontro a una censura totale. Questo è solo l’inizio di una carriera “in direzione ostinata e contraria” per citare De André.
Ostinata perché MIA è in grado di andare dritta per la sua strada e scegliere da sé la propria direzione artistica. Come in Kala, il suo secondo album, molto più orientato verso la musica tradizionale indiana, nonostante la mancata collaborazione con l’idolo A.R. Rahman (The Millionaire). Canzoni come “Boyz”, “Birdflu” e “Jimmy” risentono dell’influenza della musica “ganaa” e delle colonne sonore di Bollywood, regalando al cd una dimensione più personale rispetto all’ottimo esordio.
Contraria rispetto all’industria, come in “XXXO”, dal terzo disco MAYA, dove critica aspramente l’iter moderno di “costruzione di una diva”, a cui lei si è sempre sottratta. Ragazze di talento costrette a seguire dei modelli prestabiliti, plastificati e privi di volontà propria. Contraria al politicamente corretto, tanto da vedersi sbattere, metaforicamente, la porta in faccia da Oprah Winfrey a causa delle sue simpatie per i movimenti di liberazione palestinese e tamil. “Non posso parlare con te perché sei pazza e sei una terrorista”.
A dimostrare la bontà del suo essere, il suo incedere coerente gli ha portato più soddisfazioni e fan che critiche negative. La collaborazione con Madonna per “Give Me All Your Luvin” tratta dall’album MDNA gli ha dato la possibilità di esibirsi con la Ciccone e Nicki Minaj durante l’halftime show del Super Bowl n° 46.
Ma questa è solo la ciliegina su una carriera di alto livello, apprezzata da critica e pubblico per aver saputo portare la cultura musicale tamil all’interno del pop e dell’elettronica, fondendole in un mix innovativo e trascinante.