Si avvicina l’estate, i cinema si svuotano. Eppure negli ultimi giorni un film ha attirato l’attenzione di tutti, dai social alla carta stampata: Mia madre di Nanni Moretti. In attesa della sentenza di Cannes, dove compete per la palma d’oro, sentiamo l’esigenza di esprimere la nostra spaziale opinione sull’ultima fatica del cineasta romano.
Regista, scenaggiatore, attore. Da più di trent’anni dimostra di essere uno che il cinema lo sa fare proprio bene. Ma dopo tutti questi film, da Ecce Bombo a Palombella rossa, fino a Caro diario e La stanza del figlio, Nanni Moretti è ancora capace di raccontare qualcosa di nuovo, in maniera in qualche modo diversa. Box office alla mano (Mia madre è secondo solo agli imbattibili Avengers), il pubblico è dalla sua parte.
A noi che non abbiamo vissuto “in diretta” il suo percorso filmico, ma ne abbiamo fatto la piacevole conoscenza a premi e fama internazionale acquisiti, Nanni Moretti appare come una figura originale, interessante, ma difficile da cogliere fino in fondo, poiché ci sentiamo troppo distanti dal mood degli anni dei suoi film più significativi, molto legati al contesto sociale dell’epoca.
Nonostante questa apparente impossibilità di comprensione esaustiva delle sue prime opere, una cosa l’abbiamo capita benissimo: Moretti è un regista che, raccontando e soprattutto raccontandosi, pone lo sguardo su alcune dinamiche tragicomiche dei rapporti umani.
Tralasciando il contesto storico e l’analisi sociologica che i suoi film contenevano, quello che traspare da ogni suo lavoro è una grandissima capacità di delineare una satira pungente e amara dell’essere umano.
Mia madre, crisi esistenziale di una regista (trama e trailer ITA)
In Mia Madre questo aspetto è ancora più evidente: scostandosi dall’immaginario comune che lo vedeva egocentrico, ripetitivo e noioso, Moretti diventa narratore maturo, saggio e universale.
La storia vede come protagonista la regista Margherita (Margherita Buy), in un momento di rimessa in discussione della propria vita. Da poco separata dal marito, è anche alle prese con i problemi adolescenziali della figlia, mentre insieme a suo fratello Giovanni (Nanni Moretti) deve accudire la madre Ada, gravemente malata.
Il tema è presente già nella prima scena: riferendosi alla battuta della sua attrice, Margherita chiede: “Dilla più distaccata”. E poi, al macchinista che riprende una scena di scontri tra lavoratori e polizia: “Perché stai cosi vicino alle manganellate? Stai più distante“. Margherita, triste e malinconica, chiede a chi gli sta intorno di non vivere le cose troppo da vicino, perché lei stessa non riesce a farlo. Il risultato? Incapacità di amare, una costante sensazione di distanza dagli altri (le persone ti evitano, le viene rinfacciato).
Il film quindi parla di questo: il distacco dalla nostra vita, vissuta accanto e non dentro noi stessi, non intimamente connessi con la nostra verità interiore.
Poiché il film è scritto benissimo, il problema di Margherita tocca anche un altro personaggio, Barry (l’irresistibile John Turturro, nella parte dell’attore americano protagonista del film di Margherita, a sorpresa anche in versione ballerino in una scena già cult): “Riportatemi nella realtà”, grida frustrato dalla propria figura di attore, afflitto da una difficile crisi d’identità. Anche qui, una non realtà, una non vita. Certo, detto così tutto questo può suonare lento, pesante, e in effetti il ritmo è contraddistinto da alcuni passaggi un po’ a vuoto. Eppure, ci sono ottime ragioni per ascoltare con pazienza i significati del film.
Mia madre è un film pacato, tranquillo, intimo, privo di eccessi isterici. Qui risiede la sua bellezza: pur perdendosi in qualche passaggio noioso/difettoso, il film s’insinua lentamente nello spettatore, sussurrando, smussando con pazienza gli angoli della nostra rigidità emozionale, di pari passo col percorso di Margherita.
Lo spirito del film si eleva infine con l’essenza dell’insegnamento della madre: “Più delle altre materie, ci ha insegnato la vita, e ci è rimasta dentro”. Dentro, non più accanto: per Margherita il domani potrà essere speranzoso?
Nanni Moretti forse non sarà mai realmente un regista per tutti, ma dimostra che con la sincerità e la messa a nudo sei sentimenti si può fare grande cinema: vale la pena ascoltare ciò che ha da dire, e con questi ultimi film è forse riuscito addirittura ad allargare il suo pubblico.
Noi di YURY ne facciamo parte. E voi? Volate al cinema!