A quasi tre anni di distanza dal precedente The 2nd Law è finalmente uscito Drones, il nuovo album dei Muse che farà gettare fiumi di inchiostro nei prossimi giorni. YURY vi propone i pensieri di un fan della prima ora, la sua reazione a caldo all’album di Matthew Bellamy e soci.
È il 12 marzo 2015 e finalmente l’attesa è finita. I Muse hanno pubblicato “Psycho“, il primo singolo dal loro nuovo album Drones. Apro YouTube, lo cerco e premo play. Dopo trenta secondi di Full Metal Jacket parte questo riff blues, con un gusto particolare aggiunto dal minore armonico, seguito dalla discesa cromatica del basso. Non male! Il giro blues è preso da alcune live jam e in generale la canzone ricorda un po’ “Uprising“. Tutto sommato un buon inizio, vale la pena di essere fiduciosi su una ripresa dopo lo scivolone di The 2nd Law.
E invece undici giorni dopo esce “Dead Inside“, una hit pop sulla falsa riga di “Undisclosed Desires” e “Madness“. In contraddizione con le dichiarazioni di Bellamy, che auspicava un ritorno alle origini con sonorità rock, la canzone è piena zeppa di elettronica “plasticosa”. E come se non bastasse presenta, come un po’ tutto il resto dell’album, richiami forti ai Queen e agli U2 un po’ fine a se stessi. Insomma niente di quello che mi aspetterei dalla band capace in passato di produrre un sound unico e personale nonostante le mille influenze. Comincio a perdere la fiducia…
Fiducia completamente andatasene a peripatetiche alla fine di “Mercy” e “Reapers“. La prima risulta di una banalità assoluta e la chitarra pesante è solo uno specchietto per le allodole. La seconda invece parte bene con un riff in tapping che mi riporta dietro di quindici anni, ma finisce per perdersi in un ritornello deboluccio con altri fill elettronici inutili e un assolo sconclusionato. Peccato davvero, perché il finale maestoso, un po’ alla “Stockholm Syndrome” è come aria pura per tutti gli ammiratori dei primi album.
Salto in avanti a oggi, primi di giugno 2015. Drones è uscito in mezzo mondo e posso finalmente togliermi il dente che ballonzola sulla mia gengiva dolorante da tre mesi. Riparto da dove mi ero fermato, ovvero da “The Handler”. Finalmente un’altra buona canzone! Bel riff e ottime sonorità con l’unico neo di un intermezzo in tapping tirato un po’ troppo per le lunghe. Segue il discorso di JFK che ci introduce “Defector“. Una canzone che ricorda i Queen nella frase di chitarra “Mayesca” e The Resistance nelle sonorità.
Ma veniamo a “Revolt“, la canzone che mi ha spinto a invocare l’Apocalypse, Please… Quando non avevo ancora sentito il disco, ho avuto la sventurata idea di chiedere delle anticipazioni a mio fratello e a “Revolt” ho ricevuto questa risposta: “Hai presente un singolo di Mika? La peggior canzone dei Muse, per distacco”. Non vale la pena aggiungere altro. Ascoltatela da voi, anzi, meglio di no. Subito dopo viene Aftermath. Inizia con gli archi seguiti da una intro di chitarra in stile anni 80 che ricorda “One Love” degli U2. Si sviluppa in una ballata anonima come un impiegato del catasto.
Finalmente arrivo a “The Globalist“, già precedentemente indicata come il seguito di “Citizen Erased“, e “la speranza divampa”. Inizia con un chiaro omaggio a “L’Arena” di Ennio Morricone e continua con richiami a Invincible, in un pezzo dove il canto di Bellamy torna alle origini. All’improvviso una salita epica con un riff violentissimo chiuso da splendidi accordi al piano in stile romantico che fanno da ponte verso la parte conclusiva ispirata dal secondo movimento della “Sonata Patetica” di Beethoven. Il primo e unico momento dell’intero album in cui riconosco il Bellamy che mi ha fatto innamorare di questa band.
Si chiude con “Drones“, perfetta per Sanremo 1515. Con cinquecento anni di ritardo, il buon Bellamy partorisce un bel canto gregoriano pieno di cadenze plagali e soluzioni armoniche interessanti. Detto ciò c’entra meno di un astemio all’Oktoberfest.
Drones è finito. E io, deluso, ripenso alle canzoni del passato. Ripenso al basso di “Hysteria“, al riff di “Plug In Baby” e alla cavalcata epica di “Knights Of Cydonia“. E infine mi chiedo dov’è finito il Matthew Bellamy che conoscevo? Dov’è l’artista capace di fondere come un alchimista secoli di musica, colta e non, in capolavori come Origin Of Symmetry e Black Holes And Revelations? Le atmosfere apocalittiche e romantiche si sono lentamente robotizzate. I richiami a Rachmaninov, Chopin e Glass sono passati in secondo piano per lasciare spazio al sound deteriore del rock anni 80. La voce, che aveva preso in prestito il falsetto da Thom Yorke, ora scimmiotta Bono e Freddie Mercury (unico e inimitabile). Dov’è Matthew Bellamy? Non ditemi che l’avete sostituito, come sir Paul McCartney!
Intanto per togliermi l’amaro di bocca mi rivedo, per l’ennesima volta, il loro live at Wembley Stadium…
http://www.youtube.com/watch?v=hZ94bGHQNEs