Anche voi quando avete visto il trailer di Noah avete creduto che fosse l’ennesima boiata americana della peggior risma? Pensando a Russel Crowe nei panni del creatore dell’arca biblica, avete ridacchiato ironici gridando alla burla? Ecco i motivi per cui vi siete sbagliati e per i quali Noah merita di essere visto. Per la rubrica “Vola al Cinema”, l’ultima pellicola di Darren Aronofsky.
Quando mi sono seduto in sala per guardare il nuovo prodotto cinematografico del regista newyorkese Darren Aronofsky, la mia mente era pervasa dall’ansia e dalla preoccupazione. Qualche mese fa, dopo aver visto il trailer di Noah, un brivido freddo mi aveva percorso la schiena al pensiero che il regista di Requiem for a dream, The Wrestler e Il cigno nero avesse potuto dirigere un “Blockbuster” di dimensioni bibliche (non a caso) con Russel Crowe nei panni del vecchio Noè. In queste settimane di attesa ho costantemente covato il pensiero che il film si sarebbe rivelato l’ennesima americanata, condita di combattimenti insensati e anacronismi folli, con Crowe nel ruolo di Noè/gladiatore oppure Noè/Robin Hood (che poi, diciamocelo, quale sia la differenza tra i due è poco chiaro). In poche parole non ho avuto fiducia nel talento del regista di origini russe: “perdono Darren, perdono“.
Il film è un fantasy (definirlo film storico, perdonatemi, mi è impossibile) che trae spunto dalle note vicende dell’Antico Testamento, per cui non mi dilungherò più di tanto sulla trama. Noè è il discendente di Adamo, uno degli ultimi uomini retti e fedeli al Signore presenti sulla terra. Egli è il prediletto di Dio. Il Creatore stesso lo avvisa in sogno della volontà di distruggere tutte le genti del pianeta (specialmente i discendenti di Caino), che stanno corrompendo inesorabilmente la bontà e la purezza del suo creato.
A questo punto, Noè, con l’aiuto della moglie Naamah (la sempre splendida Jennifer Connelly), dei figli Set, Cam e Jafet, di Ila, una trovatella salvata da morte certa (Emma Watson), del vecchio Matusalemme (Anthony Hopkins) e di un manipolo di angeli caduti, costruirà la famosa arca per compiere il volere divino. A rompere le uova nel paniere al buon Noè ci pensa però Tubal-cain (Ray Winstone), ultimo discendente di Caino, che tenterà di salvare la sua pellaccia e quella di un esercito di uomini e donne pronti a tutto pur di non fare la fine del sorcio.
A prescindere dalle libertà creative che Aronofsky si è preso scrivendo la sceneggiatura (Matusalemme viene trasformato in una sorta di sciamano dai poteri magici, la figlia adottiva Ila non esiste, gli angeli caduti trasformati in enormi giganti di roccia sono pura invenzione ecc. ecc.), il tema di fondo del film è estremamente interessante e ben orchestrato. Il punto focale del ragionamento del vecchio caro Darren è la figura di Noè, in tutte le sue sfaccettature e nelle sue debolezze di essere umano che si assoggetta al volere di un’entità superiore.
Come aveva dichiarato qualche anno fa alla vigilia della realizzazione del progetto, Aronofsky va ad analizzare e a tratteggiare il carattere e la mente di un personaggio che lui considera estremamente “dark”, Noè, uomo dominato da luci e ombre che vanno a pesare come macigni sulla sua fragile esistenza.
Noè è l’uomo. “L’uomo” nel senso più stretto del termine, una sorta di Uomo vitruviano firmato Darren Aronofsky invece che Leonardo da Vinci. Le linee del suo carattere e della sua volontà si fanno più leggere o marcate di pari passo col disegno generale della pellicola che va a sondare il rapporto fra religione/fanatismo e autodeterminazione/spiritualismo cristiano.
Da un punto di vista squisitamente registico, Noah è un film decisamente scolastico e ben confezionato: carrellate, campi larghi e panoramiche di indubbio impatto visivo sono la portata principale della pellicola. Ben orchestrate anche le molte scene di massa dove uomini e bestie (create al computer, Aronofsky è un convinto animalista) si muovono all’unisono sotto la pioggia martellante del Diluvio universale.
Il retrogusto epico non è certo l’unica componente del film che, al contrario, contiene virtuosismi di regia assolutamente pregevoli come, ad esempio, la scena della creazione dell’universo (è curioso che in un film biblico una sequenza del genere si sviluppi in chiave scientifico-darwiniana. Aronofsky si diverte,oooh se si diverte!).
Da segnalare anche i colori delle ambientazioni, tutti tendenti al grigio, al marrone spento e a tutte le tonalità fredde che danno perfettamente una netta idea di desolazione, anche senza la necessità di alcun dialogo. La colonna sonora, curata da Clint Mansell, inseparabile collaboratore del regista, è epica quanto basta, con gli archi che vibrano e riecheggiano abbondantemente nelle orecchie dello spettatore, fino a fargli smuovere qualcosa nell’animo, oltre che nell’apparato uditivo.
In conclusione Noah è un film che mi ha stupito. Ha disatteso le mie aspettative (decisamente basse) dimostrandosi un atipico Blockbuster fantasy, di una potenza visiva straordinaria e con un gradevole ragionamento sulla figura dell’essere umano e sulla religione. Sicuramente non sarà il miglior lavoro di Aronofsky, (non ci avviciniamo neanche un po’ al lirismo e alla potenza emotiva de Il cigno nero, The wrestler o Requiem for a dream), ma questo apprezzabile filmone su Noè resta comunque un buon prodotto.
Volate al cinema!