X Factor è un programma che secondo molti ha poco a che vedere con l’arte, anzi la scredita. Ma con la giusta prospettiva può regalare gioie, in fondo è sempre musica. Proviamo ad abbattere le barriere ideologiche.

Qui da noi ha visto la luce 8 anni fa. Nel corso del tempo ha cambiato rete, decuplicato gli ascolti, fagocitato attenzioni da ogni piattaforma possibile. X Factor è diventato un fenomeno mediatico e sociale dalla portata sempre più ingombrante. Con l’aumentare del proprio budget, ha perso in qualità e guadagnato in rumore.

Chi prova a sviluppare un discorso più ampio, analizzando le conseguenze di un talent show di simile portata sul mondo della musica, non può che considerarlo un programma dannoso. Quello che accade, di fatto, è che al termine di ogni stagione una casa discografica mette uno o più cantanti sotto contratto, sfruttando l’onda di popolarità dovuta all’esposizione mediatica. Più o meno bravi, poco importa, l’importante è il seguito.

Particolarmente in Italia poi, X Factor sembra il canale preferenziale assoluto per lanciare un artista: “arrivare” dalla gavetta o comunque da altre strade, sicuramente più meritocratiche, è un’impresa titanica. In soldoni, è più facile affermarsi come bravo interprete di canzoni altrui, piuttosto che essere un vero musicista, con qualcosa da dire. Questo tipo di processo, con la premiazione di fenomeni da karaoke, riduce l’industria musicale a una catena di montaggio.

Ma siamo sicuri che sia davvero tutto da buttare? Stiamo parlando di una macchina perfetta e capace solo di macinare soldi e fomentare logiche discografiche deleterie per il mondo della musica? Sì, la confezione è fracassona e superficiale, ma no, la sostanza non è affatto da buttare. Sta tutto in come la si guarda. Così come sta tutto nella sensibilità di chi si approccia alla musica. X Factor contiene spunti interssanti sotto diversi punti di vista. Vediamo perchè è stato, e sarà ancora, un programma da vedere.

Le assegnazioni ricercate

Se escludiamo le canzoni che davano la Ventura e la Tatangelo, che probabilmente si ispiravano alle playlist della pubblicità di Spotify, X Factor ha negli anni proposto un’infinità di canzoni ricercate e ai più sconosciute. Certo, non è un enciclopedia sulla storia della musica, in fondo trenta secondi di intro per spiegare l’assegnazione non sono un grande spazio, ma grazie ai giudici mi sono avvicinato a gruppi che non avrei mai scoperto (almeno nei canali di diffusione di massa, cioè quelli che la maggior parte delle persone frequenta). Avete mai sentito parlare dei Curiosity killed the cat? Poi, se il vostro ascolto tipico era Max Pezzali, e magari grazie ai continui richiami di Morgan e Elio vi sia venuto in mente di andare a scoprire tale Peter Gabriel, allora X Factor ha ragione di esistere.

Conoscere artisti indie

Novità di questa edizione. Nei provini da poco conclusi, c’è stato un boom di artisti che hanno già pubblicato dei loro lavori con etichette indipendenti. Ora, chi produce musica “dal basso” avrebbe sulla carta poco interesse ad andare a X Factor, che cerca esplicitamente una popstar. Molti però hanno deciso di fregarsene, contando sul fatto che è importante in qualunque modo farsi conoscere, col rischio di essere etichettati come “quelli che hanno eliminato a X Factor”. Un rischio che oggi, in virtù del fatto che i giovani artisti italiani non possano più contare su un giro culturale in grado di promuoverli a dovere, è giusto correre.

X Factor riconosce la qualità a prescindere dalla provenienza, e di fatto la sponsorizza, anche se poi la scarta. Tra i gruppi che abbiamo conosciuto quest’anno ci sono i Landlord, i Moseek e gli Osc2x, che hanno aggiunto ai provini un’interessante vetrina sulle sperimentazioni che avvengono oggi nei circuiti musicali sconosciuti al grande pubblico, perfettamente in grado di coinvolgere e stupire chiunque. Poco, ma già qualcosa.

La competenza della giuria

Quattro musicisti affermati, di cui due a livello mondiale. Le canzoni che assegnano, le critiche che fanno, ogni loro opinione è valida e merita attenzione, sia dal punto di vista artistico sia da quello intrattenitivo (sono tutti competenti, ma dicono e fanno anche un sacco di cialtronate). C’è l’approccio più immediato e meno sofisticato di Fedez, la ricerca psicologica di Mika, l’umorismo, la follia e la sconfinata competenza di Elio. E poi c’è Skin, che logicamente sembra ancora un po’ un pesce fuor d’acqua, ma dimostra la consueta grinta e prima o poi troverà il modo di affermarsi.

Il confronto tra i giudici, inoltre, a volte è puramente educativo: quando sentivi Elio e Morgan parlare di tecnicismi tipo la particolarità del suono di un basso o di una grancassa, di cui chiaramente a nessuno spettatore medio fregava nulla… Era una figata, pregavo perché continuassero a farli parlare di Musica invece che mostrarci la clip emozionale relativa ai bisnonni di un concorrente.

Le band

Quest’anno è la prima volta nella storia mondiale del format in cui viene istituita la categoria “band” anzichè “gruppi vocali”. Finalmente la musica dal vivo, e già ai provini ne abbiamo viste delle belle con il “rock agricolo” degli Iron Mais. Su questo punto in realtà c’è un dibattito aperto, poichè è difficile immaginare che da una competizione così pop possa uscire una grande band. Di Coldplay ce ne abbiamo già. Dopo un paio di edizioni, potremo tirare le somme.

La qualità delle cover

Come è noto, il programma è molto costruito, i maligni direbbero “finto”. In effetti, c’è un team di autori che lavora per rubare gli istanti giusti di realtà, e li mette insieme per formare significati nuovi che nell’esperienza reale non esistevano. Insomma, una normalissima manipolazione di montaggio e sceneggiatura, che chi fa qualsiasi prodotto audiovisivo, a eccezione dei documentari di osservazione, è abituato a compiere. Solo una cosa è esattamente come la vediamo: l’esibizione dei cantanti, che molto spesso producono momenti memorabili. È raro che un inedito presentato a X Factor, sia ai provini sia in finale, rimanga nella nostra memoria. Molto più facile che una cover riarrangiata ci faccia riscoprire la bellezza del pezzo, oltre ad ammirare l’idea dietro alla reinterpretazione. Ci sono esperimenti folli, tipo rappare sopra l’aria sulla quarta corda di Bach, e cover più tradizionali, che possono arrivare a piacerci più dell’originale. Un paio di esempi che per me rappresentano bene questa qualità di “XF”.

Sei musicista, ma di lavoro cosa fai?

X Factor cerca esplicitamente una popstar, un performer con buona tecnica vocale, un’immagine accattivante e una personalità spiccata, capace di adattarsi alle circostanze per essere sempre apprezzato. Eppure, nonostante la freddezza di questo sistema rigido e spietato, l’arte è ancora al centro di tutto, anche se il format la nasconde bene. Nei provini di quest’anno, un giovane musicista si presenta dicendo che viene da Londra. È emigrato perchè stufo, in Italia, di sentirsi dire: “d’accordo, fai il musicista, ma di lavoro invece che fai?”. Applausi a scena aperta per il nostro ragazzo fuggito da un sistema opprimente e pessimista. Non è la prima volta che a X Factor si sentono discorsi estremamente salutari su cosa significhi veramente essere un artista, avere un pubblico, “arrivare” (verbo abusatissimo in giuria) alle persone.

La frase del ragazzo londinese, in particolare, solleva una questione delicata e importante. Molti ragazzi che tentano la fortuna nei talent vedono il canto come un’opzione, un’occasione. Altri vogliono che la musica sia la loro vita, e si spezzano la schiena per dimostrarlo. Essere un artista non vuol dire contemplare l’infinito senza fare niente, e nemmeno scrivere una canzone. Essere un artista significa mettere in gioco la propria anima al servizio degli altri. E vuol dire anche tentare ogni via possibile per far sì che la propria voce sia ascoltata e capita, tenendo conto del mercato discografico. I cantanti, gli artisti, si sforzano per comunicare il loro mondo, cercando punti profondi di contatto con gli altri, per suscitare emozioni vere. Come fa questo a non essere considerato un lavoro? Gli esseri umani dotati di questo dono non sono molti. Ma ad un giovane aspirante musicista deve essere lasciato il diritto di sognare di essere uno di quelli, e di poterlo considerare, un giorno, un lavoro. X Factor non sarà la via più nobile, ma di certo è la più veloce.

Morgan, il grande assente di questa edizione

Nel 2008, quando andava in onda la prima edizione, X Factor era una goccia nel mare, uno show come tanti, un prodotto meno sbrilluccicante, più intimo. In questo contesto, avere Morgan lucido e completamente al servizio del programma significava creare discussione continua sulla musica e molto altro. Poteva svarionare liberamente su una canzone, un artista, o persino un concetto, risultando spesso anche arrogante, ma i momenti stimolanti erano ben più di quelli in cui risultava antipatico, credetemi. E tutto questo non era solo per creare spettacolo. Ad oggi, Morgan è ancora il giudice che ha vinto più edizioni. Ma a questa non ci sarà, soprattutto a causa di una deriva personale che si arresta solo in sporadici momenti dove torna a essere quello che realmente è: un musicista straordinario, un grande frontman. Quest’estate, al Goa Boa Festival, ne abbiamo avuto un assaggio.

Guardate X Factor, con la prospettiva adatta

Lo abbiamo detto subito: il talent show, come è inteso oggi, sfocia in conseguenze dannose per il mondo della musica. La costruzione forzata del programma, le clip sulla vita dei ragazzi, con mamme e nonni sovrasfruttati per strappare ristine o lacrimucce, non si possono cancellare. E nemmeno le esibizioni nei provini dei cosi detti talenti incompresi, che francamente hanno smesso di far ridere da almeno un paio di edizioni. Ma dobbiamo farcene una ragione. XF deve raggiungere milioni di spettatori, è impensabile che non scenda a qualche compromesso. Al programma va il diritto di farsi un po’ meno talent e un po’ più show, a noi quello di posare lo sguardo nei posti giusti. Francamente, di fronte a esibizioni come quella che vedrete tra poco, con una ragazza di 16 anni che dimostra una simile sensibilità, non si può proprio dire niente. Meglio godersela in silenzio: rispettiamo la musica almeno noi che non saliamo sui palchi, anche se arriva da canali discutibili.

Il mercato è quello che è, la tv continuerà ad avere un ruolo preponderante nell’indirizzare i potenziali ascoltatori, è questione di cultura. Nulla ci vieta di valorizzare i canali giusti, e ridimensionare i talent show. Perché alla fine, se chi compra i dischi smettesse di valutare un musicista in base alla sua immagine e alla popolarità post X Factor, staremmo un pezzo avanti.

Perché guardo X Factor nonostante tutto ultima modifica: 2015-10-22T12:38:09+00:00 da Alessio Rocco