Come reagire alle critiche negative riservate a una propria opera? Come superare una depressione e il relativo blocco creativo? Oggi basterebbero delle sedute di psicoterapia, ma alla fine dell’800 non era così facile. Eppure Rachmaninov ci è riuscito! Scoprite come su Bouzouki.
Se siete tra gli scettici che ridacchiavano famoso al “Quando te lo dico io” di Giucas Casella, preparatevi a leggere questa storia e rivedere le vostre convinzioni. Certo, il povero Giucas non era niente più di un perfetto personaggio da televisione trash della domenica pomeriggio. La vicenda che sto per raccontare è invece al cento per cento reale e ampiamente documentata. Il protagonista è Sergej Vasil’evič Rachmaninov, uno dei più grandi compositori e pianisti che abbiano mai abitato il nostro pianeta.
Rachmaninov nasce vicino a San Pietroburgo nel 1873. La sua è una famiglia aristocratica dedita alla musica e lui mostra fin da piccolo una certa propensione per il pianoforte. E come se non bastasse il talento, Sergej riceve anche un piccolo grande dono dalla genetica. Cresce fino a sfiorare i due metri d’altezza e si ritrova munito di due rastrelli al posto delle mani. Trenta centimetri da pollice a mignolo che gli consentiranno di lanciarsi in virtuosismi irrealizzabili dalla maggior parte degli altri pianisti.
Non potendo pagare la retta del conservatorio a causa dei debiti, il padre del giovane Rachmaninov chiede aiuto al cugino Alexander Siloti, ex allievo di Ferenc Liszt. Siloti riesce a iscriverlo a Mosca sotto la guida di Nikolaj Zverev. Il nuovo maestro diventa fondamentale nella crescita del ragazzo. Disciplina i suoi studi e lo introduce nei salotti musicali dove conosce e fa amicizia con uno dei suoi futuri mentori: Pëtr Il’ič Čajkovskij. Con gli anni diventa un pianista e compositore sempre più abile, così, all’età di ventiquattro anni, decide di esordire alla composizione orchestrale. Tuttavia la sua prima sinfonia è un fiasco memorabile. La debacle lo demoralizza a tal punto da dedicarsi solo alla direzione per circa tre anni. Fino all’incontro con Nikolaj Dahl.
Dahl e l’ipnosi
A fine ‘800 la psicoterapia, per come la conosciamo oggi, era ancora alle fondamenta. Freud aveva appena cominciato a interpretare i sogni e a porre le basi per la psicanalisi e Jung non era ancora laureato. In questo limbo in continuo divenire, molte persone si facevano attrarre dagli ipnotisti. Sebbene la stragrande maggioranza fossero degli impostori, alcuni erano veri psichiatri, come ad esempio Nikolaj Dahl.
Ma torniamo a Rachmaninov. È il 1899 e lui è depresso, bloccato e con un piano concerto da scrivere. Per provare a risollevarlo, un amico lo invita a casa di Lev Tolstoj, da lui molto ammirato. Tuttavia lo scrittore, dopo averlo sentito suonare, si lascia scappare frasi di disappunto sul povero pianista e sull’immenso Beethoven. Sergej accusa il colpo. Gli viene quindi proposta una terapia basata sull’ipnosi presso il dottor Nikolaj Dahl. Sorprendentemente accetta e comincia a frequentare giornalmente lo studio dello psichiatra.
Il giovane si siede comodo sulla poltrona e il dottor Dahl comincia la seduta. Ripete come un mantra: “Inizierai a scrivere il concerto… Lavorerai con grande facilità… Il concerto sarà di qualità eccellente”. Inoltre, dopo l’ipnosi, spesso e volentieri disquisisce di musica con il medico, musicista amatoriale e musicofilo. La terapia procede magnificamente e Rachmaninov ritrova la fiducia persa e la verve compositiva.
Individua i temi principali su cui basare il concerto con facilità e immediatezza. Il 15 settembre 1900, suona in anteprima il secondo e il terzo movimento raccogliendo critiche entusiastiche. Rinfrancato, termina di scrivere il primo movimento e dedica l’opera conclusa al dottor Nikolaj Dahl.
Il successo e le influenze su Sinatra, Carmen e Muse
Il piano concerto no.2, eseguito per la prima volta a Mosca nel 1901, è un successo straordinario. Un capolavoro senza tempo capace di influenzare enormemente moltissimi compositori e musicisti del ‘900, tra cui Frank Sinatra,
Eric Carmen
e i Muse.
In realtà non si sa con esattezza quanto merito si debba ascrivere alla suggestione post ipnotica e quanto alle chiacchierate con il medico. Ma la dedica del piano concerto al dottor Dahl indica quanto Rachmaninov abbia beneficiato di quegli incontri. La assoluta certezza non l’avrà mai nessuno e forse è meglio così. Meglio che una bella favola a lieto fine abbia una certa aura di mistero attorno.