L’avvicinarsi del referendum costituzionale del 4 dicembre testimonia una volta di più la dubbia efficacia della comunicazione politica in Italia, oltre che il disinteresse da parte dei cittadini. Com’è possibile informarsi correttamente?

A poco più di un mese dal referendum ci apprestiamo ad entrare nella fase conclusiva della campagna elettorale, la più calda. Una guerra all’ultimo voto in cui saremo portati a non ritenere più nostro amico chi voterà diversamente.

Obama ha detto la sua; ora ci aspettiamo Putin, il Presidente del Belize, Fabietto il Tamarro che smonta marmitte sotto casa tua, nonché slogan del tipo “le vere donne votano sì” “i veri uomini votano no”, “chi guarda Narcos la serie vota no”, “chi guarda Escobar il film vota .

Ma facciamo un passo indietro.

Come è stata condotta questa campagna elettorale da parte dei due schieramenti? Cosa hanno capito gli Italiani, che tipo di emozioni e sensazioni hanno provato in questi mesi?

Abbiamo letto/sentito che Dario Fo e Franca Rame avrebbero votato no, che i veri partigiani, Berlinguer e chi più morti ha più ne ha metta, avrebbero votato .

Stiamo assistendo ad una sfida al ribasso da parte dei sostenitori di entrambe le ragioni: “voti come Brunetta, Salvini e D’Alema”, “tu come Marchionne, Alfano e Verdini”.

Ogni volta che qualcuno apre bocca, automaticamente aumentano le percentuali nei sondaggi per l’avversario. La Boschi l’hanno spedita in Argentina perché ogni sua parola era un punto in più per il no.

Ci sono stati i confronti: prendiamo in considerazione quello tra i due pesi massimi delle ragioni del e del no: Renzi all’angolo destro del ring, il professor Zagrebelsky a quello sinistro.

Da una parte abbiamo la politica degli slogan, o meglio, un linguaggio politico ormai consolidato, fatto anche di smorfie e battute, che punta su immediatezza e facilità di comprensione dei propri contenuti. Dall’altra, discorsi tecnici che pochi fra i telespettatori riescono a seguire e capire.

L’errore del piccolo schermo, oltre ad ospitare alcuni esponenti del no totalmente inadeguati al mezzo per come è inteso oggi, sta nel porre spesso l’uno contro l’altro due mondi nettamente distinti. Non si può accomunare il linguaggio politico con quello tecnico-giuridico, sarebbe come mettere sullo stesso piano Maradona e Jimi Hendrix, o per dirlo alla Crozza, fare una sfida Treccani Versus Twitter.

Il sì superficiale contro il no tecnico

Guardiamo alla campagna per il . Perché così tanti esponenti a livello locale ne stanno prendendo le distanze?

Qualsiasi persona che abbia un briciolo di intelligenza e onestà intellettuale dovrebbe condannarla in quanto offensiva. Offensiva perché insinua che siete, e siamo, talmente stupidi che per convincerci basta così poco. Stanno dicendo: “italiano caro, non ti sforzare di leggere la riforma. Vuoi diminuire i parlamentari? Basta un sì”. Mi ricorda uno degli ultimi comizi di Berlusconi, quando dopo aver fatto al pubblico domande banalissime come “volete più tasse?”, agli inevitabili “nooooo” concluse con un “bravi, vi ho istruito bene”.

Ecco, qui ci stanno istruendo a non studiare, pongono domande populiste e banali frutto di una politica che non spiega più i contenuti in quanto lunghi, complessi e noiosi. Tu, italiano, devi sentirti umiliato quando certi cartelloni pubblicitari alla fermata dell’autobus, perché ti stanno offendendo, ti stanno dicendo “che te lo spiego a fare? (semicit. Donnie Brasco) Non capiresti, non ti curar della politica, ma guarda (vota sì) e passa”.

All’altro angolo del ring abbiamo la campagna elettorale del no.

Mentana ha individuato in Zagrebelsky il maggior esponente della fazione. Ma se non hai avuto la fortuna-sfortuna di studiare legge, i discorsi del professore e di altri esponenti autorevoli del no risultano complessi, di non immediata comprensione. Seppur con più contenuti, finiscono per favorire i loro antagonisti, sicuramente più abili dal punto di vista mediatico.

Sembra quasi che non si preoccupino di far arrivare al pubblico le loro ragioni.

Se volete mostrare al mondo quanto siete preparati, non ci state riuscendo. O meglio, ci state riuscendo perché non vi stanno capendo. Se il vostro fine è far vincere il no, credo che la strada non sia quella giusta.

Non vi chiediamo di svuotare il contenuto del discorso, di non entrare nel merito (anche se alcuni lo stanno facendo), ci mancherebbe.

Possono però sicuramente esserci dei modi migliori per invogliare la gente a studiare questa riforma e capirne i contenuti.

Come colmare la distanza?

La distanza tra uno slogan e un discorso da professorone può essere colmata? Non voglio che la Treccani diventi un social network come Twitter o Facebook, sarebbe innaturale. Vorrei che provasse a stare al passo coi tempi, a rendere accessibile a tutti la sua conoscenza e non rinchiudersi nell’idealismo o in una sorta di oligarchia culturale, perché il diritto di voto ce l’hanno tutti, anche Fabietto il Tamarro che passa le giornate alle slot machine nel bar sotto casa e la Treccani manco sa cosa sia.

Vorrei vedere interessarsi di più quelli che mi dicono “non me ne frega niente della politica, tanto sono tutti uguali, fanno quello che vogliono”.

Se esistesse un Paese in cui chi non vota o non si interessa alla politica non è soggetto alle leggi, allora potrei capire. Ma se devo comunque rispettarle, sono soggetto alla loro applicazione, producono effetti anche nei miei confronti. Devo interessarmi alla politica perché lei si interessa a me.

Questi linguaggi del no e del stanno lentamente uccidendo il dialogo democratico e costruttivo. È una guerra tra vedute opposte: con la politica degli slogan crediamo di sapere ma non sappiamo, mentre i discorsi tecnici non siamo in grado di farli nostri perché li sentiamo distanti e difficili.

Il rischio è quello di allontanare ancor di più la gente dalla politica, informarla male e farla votare ancora peggio.

Vero, può essere noioso il contenuto della riforma, ancor di più in una società improntata a una sempre maggior velocità nella comunicazione, in cui si vuole tutto e subito.

Ecco perché sarebbe così importante utilizzare parole precise ma chiare per spiegare la complessità della riforma, facendone conoscere l’effettiva portata in modo da invogliare le persone a studiare quello di cui si sta parlando, fargli arrivare il messaggio che non sono solo importanti per un voto, ma che col voto possono ancora dire la loro.

La Treccani deve cercare di essere più chiara e diretta, Twitter deve andare oltre l’hashtag orecchiabile. Ma allo stesso tempo, mentre aspettiamo che questo mondo fantascientifico diventi realtà, dobbiamo impegnarci a risvegliare la nostra coscienza civica, morale e politica.

Se siamo convinti di averla già risvegliata e avete studiato la riforma, andate al bar a spiegarla a Fabietto il Tamarro. E tu Fabietto ascolta e studia.

Sì e no stanno fallendo, comunque vada il referendum ultima modifica: 2016-10-21T13:09:56+00:00 da Lorenzo Garzarelli