Sud Africa degli anni ’70 e ’80: cresce il mito di Rodriguez, cantautore americano di cui nessuno conosce nulla se non la musica. Tutti credono che sia morto. Ma due fan accaniti non si danno per vinti e iniziano a cercarlo…
Nessuno è profeta nella propria patria. Così diceva Gesù, stando al racconto dei vangeli, in risposta all’accoglienza negativa dei nazareni durante la liturgia in sinagoga. Così deve aver pensato Sixto Rodriguez, chitarra in braccio, davanti a ventimila persone in delirio a Città del Capo. Un umile operaio diventato voce di un popolo dopo essere tornato dalla morte. E no, non sto parlando di Cristo…
Siamo a Detroit nel 1970. Tre anni dopo un inizio non fortunatissimo il giovane Rodriguez, nato proprio nella “Motown”, ha l’occasione della vita. Fino ad allora era stato solo un ragazzo con un grande talento per la scrittura di canzoni, conosciuto nei locali dell’area urbana di Detroit dove soleva esibirsi. Ma la Sussex Records crede nella affilata, quasi “dylaniana”, abilità di raconteur di Sixto Rodriguez: produce così il suo primo album Cold Fact.
Tuttavia il disco di debutto, sebbene di pregevole fattura, non ha successo. Forse per la scarsa pubblicità in radio, forse per il nome (Rodriguez suonava troppo latino americano per l’epoca), fatto sta che uno dei migliori lavori cantautoriali degli anni settanta finisce in fretta nel dimenticatoio. L’anno seguente un altro tentativo, il suo secondo e ultimo album Coming From Reality. Un altro buco nell’acqua. Appena cominciata, la carriera di Rodriguez è già finita.
Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, la sua musica stava cominciando a collezionare i primi fan. La leggenda vuole che una giovane americana in vacanza in Sudafrica dal fidanzato avesse portato con sé la copia di Cold Fact e l’avesse fatta ascoltare al ragazzo e agli amici, stregandoli. Tutti ne volevano una copia, ma il disco era introvabile in qualsivoglia negozio di dischi. Non restò altra possibilità se non quella di realizzare diverse copie pirata, contribuendo così a una sua rapida diffusione.
Nel giro di poco tempo Cold Fact diventa uno degli album più ascoltati di tutto il Sudafrica. La musica diretta e i testi rivoluzionari vengono cantati come degli inni di speranza e libertà da un’intera generazione di ragazzi cresciuta sotto il regime, durante l’apartheid. È inoltre la più grande fonte d’ispirazione della scena musicale underground sudafricana. In tutto ciò l’aura di mistero attorno a Rodriguez cresce a dismisura. A differenza delle altre rockstar, non si legge di lui su nessun giornale di settore, addirittura si alimentano macabre voci sulla sua morte. Una morte scenica. Pare che durante il suo ultimo concerto abbia deciso di salutare il suo pubblico sparandosi in colpo di pistola o addirittura dandosi fuoco sul palco.
Rodriguez il redivivo
Nel 1996 viene pubblicato su cd in Sudafrica il suo secondo album. Stephen Segerman, proprietario di un negozio di dischi e creatore della pagina web “The Great Rodriguez Hunt”, scrive le note di copertina contenenti un invito a collaborare per chiunque volesse sciogliere il mistero su Rodriguez. Il giornalista Craig Bartholomew risponde alla chiamata. Prova a contattare la casa discografica ma viene continuamente sviato. Sembra non ci sia nulla da fare, ma ascoltando “Inner City Blues”, Bartholomew si accorge di un riferimento geografico a Dearborn. Cerca sull’atlante e trova due cose: un sobborgo di Detroit con quel nome e un’intuizione. Mike Theodore, produttore di Cold Fact, è proprio di Detroit. Theodore, contattato al telefono, conferma di conoscere Rodriguez, ma alle domande di Bartholomew sulla sua morte rimane spiazzato. Il cantante è vivo e vegeto e abita a Detroit.
Da buon giornalista, Craig non può esimersi dal raccontare questa incredibile vicenda. Non si sarebbe però mai immaginato che il suo articolo sarebbe finito nelle mani di Eva Rodriguez, figlia del cantautore, che trovò il sito di Segerman e li contattò. Nel marzo del ‘98 parte il tour sudafricano, una continua esplosione di calore. È il riconoscimento per essere stato importante nella vita di milioni di persone grazie alla propria musica, per aver inconsciamente contribuito a iniettare benzina nel motore del cambiamento di un popolo in cerca di uguaglianza e libertà.
La storia è splendidamente raccontata dal documentario “Searching For Sugar Man” di Malik Bendjelloul. Chissà se Alejandro Inarritu, prima di girare The Revenant, non si sia ascoltato un po’ di Sixto Rodriguez.