Si può vivere felici come delle pasque in un bugigattolo che in confronto un monolocale dell’Ikea sembra la reggia di Caserta? La risposta è nel film Room, candidato a quattro premi Oscar 2016.

Meno di un mese fa è celebrata l’88ª edizione della cerimonia degli Oscar. Oltre ai titoli più pubblicizzati e acclamati, come Revenant e Spotlight, tra i film presenti erano nascoste diverse perle. Su tutte svetta Room, terzo film del regista irlandese Lenny Abrahamson (autore già dell’ottimo Frank con Michael Fassbender) vincitore di una statuetta e candidato in tutte le categorie principali.

La straordinaria prova di Brie Larson, premiata come miglior attrice protagonista, non è il solo motivo per interessarsi a un film che, complici i fortunatissimi incassi di alcuni ottimi film italiani (FuocoammareLo chiamavano Jeeg Robot e Perfetti sconosciuti), padroni del botteghino in queste settimane, sta facendo il proprio passaggio in sala un po’ in sordina. Dopo aver sorriso per aver visto il Made in Italy rialzare la testa, vale la pena scegliere anche Room, un thriller drammatico, intimo e anomalo, con personaggi straordinariamente complessi e una regia che racconta molto con molto poco.

Room: trama e trailer

Joy (Brie Larson) è una ragazza che vive in una stanza di pochi metri quadrati da sette anni, prigioniera di uno sconosciuto che abusa regolarmente di lei. Da queste violenze è nato Jack (Jacob Tremblay), vivace e spensierato, ignaro di tutto ciò che sta fuori da quelle mura. Appena compiuti cinque anni, la madre, incalzata dalle sue domande, si decide a raccontargli la verità e a mettere in atto un piano di fuga. Grazie a una grande prova di coraggio di Jack, la polizia riesce a liberarli. Ma la vera sfida per lui è affrontare lo sconosciuto mondo esterno, con tutte le conseguenze che può comportare, anche riflesse su Joy. Il forte legame che li unisce è la chiave per la salvezza dal difficile ritorno, o ingresso, alla vita reale.

Il mondo in una stanza

Tratto dal romanzo ispirato a fatti realmente accaduti “Stanza, letto, armadio, specchio” di Emma Donoghue, autrice anche della sceneggiatura, Room è un film diviso in due, nei toni e nel minutaggio. Comincia come thriller claustrofobico, con la descrizione della routine dei protagonisti, e prosegue fuori dalla stanza come dramma psicologico sulla forza dei legami affettivi per superare i traumi. Il punto di vista di Jack, rivelato da diversi monologhi in voce fuoricampo, alleggerisce notevolmente la narrazione e contribuisce a illuminare una storia dolorosa e psicologicamente complessa. Gli intrecci del rapporto tra Joy e Jack sono il fulcro della narrazione.

Nella stanza, Jack mangia, gioca e vede la TV senza mai sentirsi in gabbia, perché non crede che ci sia qualcosa o qualcuno di reale oltre quel contesto. La stanza è tutto il mondo, e la forza del suo pensiero, capace di sublimare un raggio di luce come fosse il sole intero, è immensa. Se una vita si può veramente costruire insieme con un frigo e un armadio come migliori amici, il merito è tutto di Joy, tenace e disperatamente devota alla ricerca della felicità del figlio, la cui venuta, di fatto, le ha dato uno scopo in una situazione catastrofica.

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Fuori dalla stanza, Jack aiuta la madre a fare i conti con un mondo che pare rigettarla, anche a causa dell’ambiguità morale a cui l’ha costretta la sua situazione (tenere il bambino con sé e farlo soffrire anziché chiedere al suo carceriere di darlo in affidamento). Joy soffre il confronto con la propria vita precedente, complice il divorzio dei genitori (Joan Allen e William H. Macy) e i sensi di colpa per un passato traumatico impossibile da dimenticare. Jack, forte di un’immaginazione potentissima e di un entusiasmo gradualmente più consapevole, è di nuovo la sua salvezza.

“Nessuno è forte da solo”, così la madre di Joy si rivolge a Jack. Una delle tante battute che nel finale innalzano il senso della narrazione, aiutate dalle forti musiche di Stephen Rennicks. Ma di Room resteranno soprattutto una prima metà originale e stimolante (pochi spazi, molte idee) e un paio di scene memorabili: quella della liberazione di Jack, che ammira il cielo per la prima volta, e il finale, un poco conciliante e consolatorio ma comunque di grande impatto emotivo.

Sì, forse è possibile essere felici in dieci metri quadrati. Lo si può essere anche fuori, meravigliati da ogni singolo battito del mondo esterno, che nonostante sia ben più aggressivo e minaccioso, non può rompere la forza di certi legami.

Room è un thriller claustrofobico sulla forza dei legami affettivi ultima modifica: 2016-03-16T13:08:45+00:00 da Alessio Rocco