I Royal Blood sono una ventata d’aria fresca per il mondo del rock, e non solo. Concerto dopo concerto, hanno fatto impazzire UK e USA. Sfruttano la tecnologia per creare il proprio sound, ma hanno registrato un disco con il metodo classico analogico. Storia da favola, esempio per gli emergenti. Aspettando che sveglino anche l’Italia, il 29 marzo a Milano.

 

Sera del 27 giugno 2013. Un giovane rock-duo di Brighton, Inghilterra, con all’attivo una manciata di spettacoli davanti a una decina di persone e un paio di canzoni registrate e sbattute su internet, è al lavoro in studio. Suona il telefono. “Ciao ragazzi, sono Matt Helders, il batterista degli Arctic Monkeys. Domani sera suoniamo da headliner sulla Pyramid Stage, al Glastonbury Festival, avete mica una vostra maglietta da darmi? Voglio indossarla durante il concerto.” Non riesco a restare indifferente di fronte a certe storie, anche se ne avrò sentite un migliaio. Una telefonata del genere è il sogno di milioni di musicisti falliti.

matt helders“Una maglietta…? No, non ce l’abbiamo… Ma te ne facciamo una!” In fretta e furia, Mike Kerr e Ben Thatcher producono e recapitano a Helders una bella t-shirt nera, con le iniziali e il nome della loro band: “Royal Blood”. La storia inizia così. Gli Arctic Monkeys suonano un gran concerto di fronte a un pubblico planetario, anche perchè l’evento viene trasmesso dalla BBC e postato su Youtube. Quella sera i telefoni di Mike e Ben non smettono di suonare: amici, parenti, conoscenti. “Ragazzi, cosa succede? Dovete dirci qualcosa?”.

Di lì a poco, i Royal Blood entrano definitivamente nell’orbita degli AM. Aprono il loro spettacolo a Finsbury Park, vengono messi sotto contratto dallo stesso management di Alex Turner e soci. Poi firmano con la Warner Bros. “Out Of The Black”, il singolo che anticipa l’uscita del loro primo EP, esce il 22 novembre 2013. Dopo un inizio estate 2014 passato in giro per i più grandi palchi d’Europa, ecco il primo album, il 22 agosto. In pochi giorni, numero 2 nella classifica alternative USA, numero 1 assoluto in Regno Unito e Irlanda, miglior debutto rock britannico negli ultimi 3 anni. La storia è bellissima. Ma che cosa hanno di speciale, questi due giovanotti di Brighton? Cosa li rende la nota più lieta del 2014 in musica e i vincitori del nostro prestigiosissimo YURY Award 2014 per album dell’anno? Sentiamo.

Tralasciamo per un attimo la qualità del pezzo. A un ascolto/visione superficiale, sorge spontanea una domanda. Perché fingere di essere in due, quando si sente chiaramente che oltre al basso e alla batteria c’è anche una chitarra? Diamo un’occhiata a un’esibizione dal vivo.

Non perdete tempo a cercare un chitarrista nascosto dietro le quinte, non c’è. Mike Kerr utilizza un Electro Harmonix POG Octave Divider, un pedale che “splitta” il segnale del suo basso, lo sdoppia. Uno rimane asciutto e finisce nell’amplificatore del basso stesso. L’altro viene equalizzato, armonizzato e distorto, trasformato in chitarra e mandato in un secondo amplificatore. Vi risparmio i complicatissimi dettagli tecnici per cui avviene questa magia. In pratica, suonando soltanto uno strumento, Mike ottiene sia il suono del basso che quello della chitarra, controllando gli effetti direttamente dalla sua pedaliera. Fateci caso: quando guarda in giù, verso i pedali, il basso entra o sparisce, a seconda della situazione. Eccovi un’altra prova, la mia preferita.

Dal vivo, i suoni singoli e l’effetto generale sono molto, molto simili a quelli del disco. Il motivo è semplicissimo. La caratteristica tecnica principale dei Royal Blood è quella di aiutarsi con l’ingegneria sonora per creare un sound imponente, tipico delle classiche formazioni rock a 3 o 4 elementi, utilizzando però solo un basso e una batteria. Ma nonostante questo aspetto innovativo, hanno registrato il loro album nel modo più essenziale possibile. Niente armonizzazioni esagerate, niente voci doppiate o super post-produzione tipica dell’era digitale. Gran parte dei pezzi sono stati ottenuti in presa diretta, come si faceva regolarmente prima degli anni ’80cioè suonando una canzone dall’inizio alla fine senza sbagliare. “In qualche pezzo abbiamo usato shaker e tamburelli, ma per il resto, l’album suona identico al live – ha raccontato Mike in un’intervista – Ci siamo quasi ammazzati per farlo bene”.

discoBen Thatcher picchia su piatti e tamburi come un dannato, le sue batterie sono taglienti come lame e mai banali. Mike Kerr canta molto bene le note basse e non ha problemi a salire, suonando con grande pulizia il suo basso/chitarra magico. Il risultato è un sound potente, sporco, arrabbiato, un po’ garage rock, heavy quanto basta e non lontano dai gusti dell’ascoltatore medio. Tanti power-riffs ignoranti, nel senso migliore possibile del termine (occhio a “Come On Over” in fondo all’articolo), ma anche ritornelli orecchiabili (vedi sopra “Little Monster”). Le influenze sono piuttosto chiare, come per tutte le band britanniche degli ultimi anni. Muse, Arctic Monkeys, e ovviamente Radiohead, da cui tutto è iniziato. Per non parlare dei Queens of the Stone Age, la band preferita dei Royal Blood.

 

Li ho visti dal vivo a New York, sono stati incredibili. Suonano con lo spirito delle band che li hanno ispirati, ma sentendoli si capisce benissimo come stiano creando un nuovo regno del rock, ammesso che non ci siano già riusciti. Stanno alzando l’asticella per i musicisti del genere. Questa è musica di enorme qualità.

(Jimmy Page)

Cari amici rockettari, vi sembra roba già sentita, o comunque già fatta in passato? Solo una versione imbastardita di White Stripes e Black Keys, con espedienti tecnici troppo nerd e poco rock n’roll? Sto sprecando del sano entusiasmo? Tutte obiezioni legittime. La mia idea è questa. I Royal Blood hanno registrato un disco alla vecchia maniera, in uno studio analogico, dove se non sai suonare non hai senso di esistere. Lo hanno fatto con ampio uso della tecnologia. Non per celare la loro scarsità come musicisti, ma per trovare il proprio sound, in un modo quantomeno inusuale e sorprendente. Il mondo è impazzito per loro: in cima alle classifiche in Regno Unito e USA, persino arrivati al numero 83 in Italia. La prossima estate apriranno i concerti dei Foo Fighters a Wembley, insieme a Iggy Pop. Dave Grohl li adora, e come non potrebbe, dato il suo amore per tutto ciò che è analogico in un mondo digitale. Considerato tutto questo… Volete veramente criticare una favola del genere, vista la qualità media della musica di oggi? Io mi tengo stretti i Royal Blood. E vado anche a vedermeli: appuntamento all’Alcatraz di Milano, domenica 29 marzo, ci vediamo lì.

Royal Blood. Favola ed esempio per il rock del terzo millennio ultima modifica: 2015-01-16T18:43:38+00:00 da Mattia Cutrone