PDWTejOgTpM

YURY è andato all’Alcatraz di Milano per verificare se i Royal Blood siano davvero la grande speranza del rock, come sostengono estimatori eccellenti come Jimmy Page e Dave Grohl. Ecco com’è andata.

 

Tre mesi di martellamento di amici e interlocutori occasionali si sono concretizzati ieri sera. Dopo aver assistito di persona a un concerto dei Royal Blood, adesso posso dirlo: quando Jimmy Page dice che il duo inglese composto da Mike Kerr e Ben Thatcher può essere un toccasana per il mondo del rock odierno, ha assolutamente ragione.

Ne avevamo parlato. I Royal Blood sono VERI. Un esempio per tutti i giovani musicisti in un’epoca dove la tecnologia la fa da padrona. Mike Kerr sfrutta una serie di complicati collegamenti audio, attraverso i pedali, per sdoppiare il segnale del suo basso e trasformarlo in una taglientissima chitarra distorta. In soldoni, è bassista e chitarrista allo stesso tempo, con un solo strumento. Come abbiamo ricordato, c’è modo e modo di usare gli straordinari strumenti messi a disposizione dal progresso tecnologico in musica. I RB non barano: non se ne servono per coprire le proprie lacune e sembrare più dotati di quello che in realtà sono, semplicemente creano un sound devastante in modo innovativo.

Poca forma, tantissima sostanza. Lo si capisce già dalla scenografia e dall’impianto luci, poco più che essenziale. La carriera dei Royal Blood, ferma a un LP di circa 30 minuti più qualche B-side, non lascia troppo spazio alla speranza di assistere a un set interminabile. Il concerto dura soltanto un’ora, per la più classica delle esperienze brevi ma intense. Un’ora di conferme, una dietro l’altra. Ben Thatcher picchia durissimo sulla sua batteria, ma senza mai eccedere nè velocizzare l’esecuzione, mentre Mike Kerr fa uscire dal basso-chitarra un suono tanto arrabbiato quanto preciso e incisivo. Il frontman tuttofare dei Royal Blood si rivela di altissimo livello anche nella performance canora, uno degli aspetti su cui ero più curioso di valutarlo, ed è anche molto sciolto sul palco, non nascondendo la predilezione per il leader dei Queens of the Stone Age, Josh Homme, il suo idolo indiscusso, di cui ricorda le movenze, oltre che lo stile nella scrittura.

Il numeroso ed eterogeneo pubblico dell’Alcatraz di Milano (decisamente all’altezza a livello sonoro, con mia grande sorpresa) esce soddisfatto, nonostante la brevità del set, per altro giustificata da un prezzo del biglietto abbordabilissimo, e nonostante i Bad Breeding si qualifichino come una delle peggiori band d’apertura di sempre, visto il livello di chi hanno preceduto sul palco. “Questa è un’esperienza straordinaria, è la nostra prima volta in Italia, non ci aspettavamo così tanta gente. Promettiamo di tornare molto presto”. Ti prendiamo in parola, caro Mike. Aspettando il prossimo disco.

Royal Blood live: la conferma definitiva ultima modifica: 2015-03-31T18:46:29+00:00 da Mattia Cutrone