Quentin Tarantino, il bad boy più conosciuto di Hollywood, torna alla carica sul grande schermo e lo fa alla sua maniera: violento, feroce e spietato. Questa volta, però, ha deciso di caricare l’opera di messaggi a sfondo sociale e soprattutto politico. Noi, a Palazzo Chigi, ce lo vedremmo molto bene.
Le guerre in Medio Oriente e i recenti attentati in Francia non vi avranno certo fatto pensare che il mondo di oggi sia in pace, come una pubblicità della Mulino Bianco. Come ampiamente dimostrato anche dallo storico rapporto tra mariti e suocere, le persone si odiano. Ma non facciamo di tutta l’erba un fascio, non è nemmeno il caso di ritenere che odio e razzismo siano immortali o inestirpabili. O forse sì? Su quest’eventualità si potrebbe avere qualche dubbio, almeno a giudicare dalla visione politica e pessimista di Tarantino, che con The Hateful Eight dimostra quanto il suo cinema scanzonato possa essere audace e di forte denuncia del presente.
Quentin Tarantino in politica?
Immaginate quanto sarebbe bello vedere Tarantino in politica, magari con Samuel L. Jackson, Uma Thurman e Harvey Keitel sparpagliati nelle diverse cariche elettive. La dialettica e la capacità argomentativa, da vero leader del partito, ce le ha. Vediamo cosa rende The Hateful Eight un film politicamente schierato e cosa fa di QT, almeno idealmente, un poderoso statista della settima arte.
Quentin Tarantino è forse il regista più chiacchierato di Hollywood. Di lui si può dire tutto tranne che manchi di audacia: è uno dei pochi registi viventi che non teme di sfidare pubblico e critica, proponendo il suo cinema ipercinefilo senza curarsi troppo dei giudizi, spesso radicalmente divisi tra amore e disprezzo. The Hateful Eight ne è la prova. Tornare a girare un film western dopo il clamoroso successo di Django Unchained è di per sé un azzardo, ma ancor più ardito è tentare di stravolgere l’intero genere, sviluppando la maggior parte della trama in un interno. Tuttavia, l’atto più coraggioso sta nel concetto che vuole esprimere: una forte critica all’ingiusta e discriminante società americana (ma non solo) odierna, che risulta essere più violenta dei suoi film.
The Hateful Eight: il 2016 come la Guerra di Secessione
L’ottava opera del regista americano è ambientata qualche anno dopo la Guerra di Secessione Americana e vede come protagonisti otto loschi individui che si ritrovano rinchiusi all’interno di un emporio a causa di una bufera di neve: qualcuno di loro non è chi dice di essere, tutti hanno un passato misterioso. Ognuno alimenta la sfiducia nell’altro con pregiudizi e discriminazioni di ogni tipo, eliminando ogni speranza di convivenza pacifica.
The Hateful Eight è “sicuramente il più politico di tutti i suoi film”, come ha dichiarato il suo storico produttore Harvey Weinstein. L’ambientazione in un luogo chiuso rispecchia al meglio il concetto di comunità, le azioni e le affermazioni dei protagonisti richiamano i comportamenti e i pensieri degli esseri umani in essa. E non c’è nulla di buono. Gli otto personaggi sono tutti impregnati del sentimento che più martoria la nostra vita di tutti i giorni: l’odio. Il richiamo all’attuale situazione sociopolitica americana è chiarissimo. La discriminazione razziale, quella sessuale, quella politica, la xenofobia, ma anche l’infinito paradosso della coesistenza di integrazione e paura del diverso, simbolo palese della proverbiale doppia morale statunitense.
Il messaggio del regista è forte e diretto: siamo nel 2016, ma è come se gli Stati Uniti fossero ancora abitati da Sudisti e Nordisti. Il tema è molto caro al regista, che si era schierato in prima persona contro l’eccessivo e criminoso uso della violenza da parte delle forze di polizia, dopo i tanti casi registrati negli ultimi tempi, quasi sempre ai danni di afroamericani. Anche per questo è un film di denuncia: dove risiede l’evoluzione che vantiamo di avere, se invece non riusciamo a rispettare le diversità che ci circondano? Tarantino cerca di smuovere le coscienze, ma il suo pensiero finale è drastico. L’odio del diverso porta solo alla morte, se non ce ne si libera nessuno sarà salvo. Molto probabilmente stiamo parlando del Quentin più cinico e realista che si sia mai visto, al limite del nichilismo.
Come sempre, non mancano gli omaggi ad altre grandi opere. The Hateful Eight ha forti riferimenti in La Cosa e Dieci piccoli indiani (sviluppo della trama a parte, la prima inquadratura del Cristo in croce nella neve è presente anche in quel film). È accompagnato dalla potente colonna sonora di Ennio Morricone (candidato all’Oscar, già trionfatore ai Golden Globes) e conta su un cast di interpreti eccezionali, composto da Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh (in nomination per l’Oscar come miglior attrice non protagonista), Walton Goggins, Demian Bichir, Tim Roth, Michael Madsen e Bruce Dern.
Il ritorno al passato del regista è evidente nella somiglianza con Le iene, ma da un punto di vista tematico Tarantino rimane saldo al presente: gli americani pensano di essere uniti, ma invece sono divisi su tanti argomenti, proprio come durante la Guerra Civile di 160 anni prima. In tempo di elezioni politiche, dove è ancora più facile dividersi in fazioni che detestano il prossimo per gli stessi identici motivi di un secolo fa, è necessario un messaggio forte: discriminare qualcuno non è solo sbagliato, ma anche profondamente odioso.
Di odio, nella natura umana, ce n’è già abbastanza. È fin troppo facile da riscontrare, anche in diversi periodi storici, che tendono spaventosamente a sovrapporsi. Quentin Tarantino ce lo ha ricordato sbattendoci in faccia il suo mix pulp e cinefilo di ironia e sangue, avvertendoci di quanto questo sentimento sia pericoloso e dannoso. Ci ha fatto divertire, ha provato a rinfrescarci la memoria. Ma nonostante lo schiaffo, forse non lo capiremo mai.