La Street Art ha assunto anche a Genova un ruolo importante: riqualificare aree abbandonate al degrado, dando nuova linfa e vitalità a zone costantemente dimenticate dai media e dall’amministrazione pubblica. Lo stesso obiettivo hanno le opere di tiler, artista genovese che fa denuncia sociale a color di piastrelle.
Tiler è uno street artist genovese peculiare, dalla celata identità, indossa una maschera da scimmia da tempo immemore, prima ancora che Francesco Gabbani celebrasse la sua origine da primate. I suoi lavori sono animati da intenti di denuncia sociale che possono sembrare banali o retorici, ma che in una società e in un momento storico-culturale come i nostri diventano di fondamentale importanza. Il valore della street art non si ferma al lato puramente artistico delle installazioni e dei murales, ma con tiler (e altri, basti pensare al celebre Bansky) si arricchisce, elevandosi a motivo di discussione, diventando una provocatoria lente d’ingrandimento sulle problematiche più serie della nostra società, della nostra Genova: la disoccupazione giovanile, la necessità di riqualificare spazi degradati, il lento declino di una città Superba.
Con queste premesse, fermarsi ad ammirare un’opera di street art è un dovere. Riflettere sul messaggio che ha voluto trasmettere l’artista una naturale conseguenza.

Sogno da Desto – tiler
Il cane astronauta, “Sogno da Desto”, con le sue 45 piastrelle, campeggia sotto i portici fantasma di Corso Gastaldi, che un tempo ospitavano attività, gli uffici dell’Inam, il via vai di impiegati e commercianti. Oggi, a più di dieci anni dalla chiusura di gran parte delle sue vetrine, il passaggio pedonale di Corso Gastaldi è abbandonato a se stesso, al degrado, alla solitudine di un muro desolatamente vuoto.
Le numerose installazioni di tiler, che trovate sul suo sito, racchiudono riflessioni sempre più attuali, che coinvolgono la nostra città, Genova, a 360 gradi, e definiscono la street art come medium innovativo per dare vita a dibattiti proficui che possano restituire dignità ad una città che sembra averla perduta, ormai da tempo.
Un cane russa nervosamente ai piedi di un letto sfatto. Le lenzuola ammucchiate sulla spalliera, la coperta penzola abbandonata vicino alla sua zampa, sul pavimento polveroso. L’aria fredda entra dalla finestra e sussurra un gelido sogno all’orecchio dell’anonimo animale.
Nell’immenso buio illuminato dai barlumi delle stelle, lo spazio, un cane è in balìa di una piacevole deriva, che lo sta lentamente conducendo tra le braccia di un astronauta. Attraverso il vetro che-non-può-appannarsi del casco, l’uomo sorride e schiude le labbra. Nessun rumore si diffonde nello spazio, ma il labiale è chiaro: è il suo nome, il nome del cane, che nella sua tuta su misura sorride goffamente, mostrando i piccoli canini.
Il sogno svanisce quando il rumore sordo emesso da uno dei giganti metallici di Cape Canaveral riporta il cane alla realtà: il suo astronauta sta per prendere il volo. Solo nel mondo onirico i due possono ritrovarsi, nei sogni ad occhi chiusi, ma soprattutto in quelli ad occhi aperti: da desti.