L’artista partenopeo Tommaso Primo racconta, in esclusiva per 33 Giri, il suo disco “Posillipo Interno 3”, con un particolare track by track che analizza nel dettaglio ogni brano di questo interessantissimo progetto.
Un ragazzo pieno di positività e “spensieratezza impegnata”, in grado di trasmettere tutto ciò nelle sue canzoni, aggiungendo quel pizzico di Napoli, che nella musica non è mai sbagliato. La sua vita si basa sugli incontri con i “geni analfabeti”, come Pino, musa ispiratrice di uno dei brani di Posillipo Interno 3. Stiamo ovviamente parlando di Tommaso Primo, cantautore partenopeo che, in esclusiva per 33 Giri, ha deciso di raccontare, traccia per traccia, il suo primo lavoro ufficiale:
Addore: “Ai tempi del Liceo, in metropolitana, conobbi un personaggio strambo, “Pino”. Si vantava con me, perché era possessore di uno strano record, quella di aver viaggiato per anni senza biglietto, sui mezzi pubblici italiani. Era un lunedì e avevo un compito di Latino, entrai nel solito vagone che, stranamente, quella mattina era poco affollato, c’eravamo, infatti, io e una suora. Ahimè, non avevo il biglietto… Salì il controllore, capì tutto e, con un sesto senso da fare invidia a una gazzella, m’invitò a scendere. Osservai il finestrino, la suora mi sorrideva: era Pino che per sfuggire aveva indossato quel travestimento. “Addore” è dedicata a tutti i “Geni Analfabeti” che affollano le mie giornate, fortunatamente, aggiungerei”.
Gioia: “Gioia è una canzone scritta a quindici anni, mi è giunta così, mentre strimpellavo sul balcone di casa, guardando i pescatori e riflettendo sulle cose che contano davvero nella vita. Mi piace pensare a lei come un dono di una qualche “entità metafisica” (qualcuno mi prenderà per folle). In studio ho unito il mio canto a quello dell’amico Ismael”.
Salita paradiso: “È una canzone che parla della tossicodipendenza di una persona a me cara. ‘Strega ‘e povere, cu nu mantiello ‘e neve, fatta a foglie d’America Latina” (‘Strega di polvere, con un mantello di neve, fatta dalle foglie provenienti dall’America Latina’, n.d.a.).
Posillipo Interno 3: “Brano che dà il nome al disco, racconto di un depistaggio. In piena adolescenza m’innamorai di una ragazzina, purtroppo non ero ricambiato. L’accompagnavo tutti i giorni a casa ma, non avendo il motorino, il mio mezzo di locomozione era il C27, un pullman della linea ANM. Quando le chiedevo dove abitasse, mi liquidava: ‘Abito in una casa qualsiasi, in un palazzo, sopra Posillipo, in un interno 3 qualunque’.
San Pasquale a Chiaia: “Scritta a sedici anni, è una semplice canzone d’amore. Ne ho scritto le parole nel bar della scuola, il Liceo Umberto, mentre sorseggiavo il caffè dell’amico Ciro”.
The White Virgiliano’s Man: “Racconto di una generazione, quella attuale degli anni ’00 del terzo millennio. L’uomo bianco è Strato, un altro personaggio del mio microcosmo. Ho utilizzato la sua persona e quella del suo chiostro per dire una cosa alla Napoli considerata “bene”, quella che bada all’apparenza e sempre meno ‘Uommene ‘e mala Radical chic, sunature ‘e musica stanno ‘cca, lacci sciugliute, ‘ggente cu ‘o frack, parlano d’’a vita dicenno “Frà”, lenti attiggiate a bucchinariello, chello ca te serve pe t’attiggià ma ‘nmiezo ‘e canzoni passa ‘na stella e ancora vene ‘o ggenio e sa’nnammurà’ (Uomini della mala radical chic, suoni e musica stanno qua, lacci sciolti, gente col frac, parlano di vita dicendo “Fra”, occhiali da sole vanitosi da figlio di buona donna, quello che ti serve per atteggiarti, ma nelle canzoni passa una stella, e ancora viene la voglia di innamorarsi, n.d.a.).