La rubrica Lost and Found Albums prosegue con un disco degli A Perfect Circle, uno dei tanti gruppi capitanati dal cantante Maynard James Keenan. Thirteenth Step, uscito nel 2003, ha avuto un discreto successo negli States e in Inghilterra, ma non è troppo conosciuto in Europa. Vediamo insieme di cosa si tratta.
Se state pensando che in un disco di dodici tracce dal titolo Thirteenth Step (il tredicesimo passo) ci sia un qualche riferimento al vostro circolo di alcolisti anonimi, avete ragione. Il secondo album degli A Perfect Circle, side-project del mitico frontman dei Tool Maynard James Keenan, è un concept album sulla dipendenza da alcool o droghe.
Disclaimer immediato: al di là della componente lirica, le atmosfere che la band crea in questi dodici passi musicali non rendono il disco facile da affrontare, come si può immaginare dati gli argomenti trattati. Ma se vi piace il genere, anche senza esserne patiti, vi si drizzeranno le antenne. Potreste persino dire che le tracce filano via lisce e veloci.
In ogni canzone il tema centrale è affrontato da prospettive diverse (persino dal punto di vista della droga!) e soprattutto in momenti diversi della lotta contro la dipendenza. Keenan, da cui è partita l’idea, non ha mai avuto problemi con gli stupefacenti, ma ha frequentato molte persone passate attraverso quest’inferno. Allarme spoiler: la morale è positiva e ispiratrice. La traccia numero 12, “Gravity”, si chiude ripetendo il verso “I choose to live”.
Parliamo un po’ di musica in senso più stretto. Il disco di debutto degli A Perfect Circle, Mer De Noms, era indirizzato verso un suono hard rock abbastanza tipico per l’epoca, nulla di rivoluzionario. Una sorta di versione meno articolata e più melodica dei Tool, per capirci, se mi concedete tale definizione, tremendamente riduttiva rispetto alla grandezza degli APC. Per quanto reputi i Tool uno dei gruppi più influenti degli anni ’90.
In Thirteenth Step invece, c’è una svolta, non troppo marcata, verso suoni più soft. Una spruzzata di ambient. Più carne al fuoco, più varietà nelle composizioni. Non mancano le jam più cariche d’intensità e meno elaborate, “ignoranti” si potrebbe dire, nel senso buono musicale. Ma si possono trovare pezzi articolati e dal sapore sperimentale. Su tutte la canzone d’apertura, “The Package”, che richiede diversi ascolti per essere compresa a fondo.
Il materiale umano della band è di tutto rispetto. Josh Freese alla batteria (tournista per Sting e Nine Inch Nails, tra tanti altri), sempre incisivo, puntuale, a suo agio in un gruppo che non ama troppo i tempi semplici. Al basso Jeordie White, meglio conosciuto come Twiggy Ramirez, storico elemento dei Marilyn Manson, ormai uno dei musicisti più affidabili del genere.
Una grossa fetta della bellezza di questo disco è merito delle chitarre di Billy Howerdel (Ashes Divide). Un suono variopinto, ipnotico a tratti, pesante quando serve. La grande esperienza di Howerdel come producer fa sì che nella maggior parte delle canzoni ci siano moltissime parti di chitarra incise una sopra l’altra, senza creare confusione.
Al contrario, è tutto perfettamente in equilibrio, sfumatura dopo sfumatura. Altro motivo per cui un singolo ascolto non rende giustizia.
Veniamo alle voci. Dico subito che il sottoscritto ha una venerazione per Maynard James Keenan. Dovuta in buona parte proprio a Thirteenth Step. Al meglio delle sue capacità a livello di salute, MJK dà sfoggio della sua straordinaria voce, della capacità di utilizzare in modo scientifico un timbro unico nel suo genere. Un vastissimo arsenale vocale. Come per le chitarre, la sovrapposizione di diverse voci dà un effetto assolutamente da brividi.
“Weak And Powerless”, “The Noose”, “Blue”, “Gravity” (traccia 2,3,4 e 12), sono le migliori rappresentanti di questa affascinante composizione multi-layer. Ma la palma di miglior canzone, per quanto sia irrilevante attribuirla, va a “The Outsider” (traccia 7). Un autentico delirio, uno dei miei pezzi preferiti di tutti i tempi. Batteria perfetta, mai banale e sempre al posto giusto, proprio come le chitarre. Parti vocali di enorme bellezza, complessità e difficoltà di esecuzione, una struttura imprevedibile che alterna sezioni in 4 quarti con altre in 6 ottavi, non complicando l’ascolto.
Riassumendo. Se non siete dell’umore giusto, pronti a impegnarvi, ascoltate qualcos’altro. In caso contrario, godetevi questo diamante purissimo: Thirteenth Step.