Quest’inverno ho visitato Varsavia e ho capito tre cose: la sua storia è travagliata e si nota ovunque; in tre giorni si può fare di tutto; costa davvero poco. Quello che segue è per te, povero studente che sogni di girare il mondo ma sei senza una lira.
Se per visitare bene Roma e Parigi ti servono minimo due settimane, per conoscere a fondo Varsavia tre giorni sono perfetti. E non troverai mai il casino che c’è a Roma e Parigi. La capitale polacca è una meta poco alla moda e dato che la moda viene dettata da chi fa cose fuori moda che di conseguenza diventano di moda, se vuoi essere un po’ alla moda o se al contrario vuoi opporti alla moda, vacci.

I sorbi non sono alberi alla moda, per dire.
Varsavia d’inverno
Sono stata a Varsavia a gennaio, quando la temperatura raggiunge i -18°C. Di giorno. Pertanto, per non morire di ipotermia sono indispensabili una maglia termica (per nostra fortuna, il dolcevita è tornato di moda) e altri dieci strati di vestiti. Ma vale la pena girare con l’allure di un pupazzo di neve, perché ci si può imbattere in scenari come questo.

Una piscina naturale. Per orsi polari.
Cenni storici da leggere e dimenticare
Chi non ha visto Il pianista? Il fiore all’occhiello di Roman Polanski, tratto dal romanzo autobiografico di Szpilman. La pellicola, estremamente aderente alla realtà, è ambientata proprio a Varsavia, scenario di miseria e guerra. Come direbbe Piero Angela, ripercorriamo insieme alcune tappe della sua tormentata storia.
Varsavia nasce nel XIV secolo, quando alcuni barbuti duchi di Masovia costruiscono la loro roccaforte, lì dove ora sorge il castello della città vecchia. Con un po’ di buona volontà, questi masoviti mettono su una cittadella che finisce dritta nelle mani del re di Polonia perché uno di loro, evidentemente undateable, non riesce a trovare una masovita che voglia dargli un erede.
Qualche anno dopo la Polonia si fonde con la Lituania, e il Sejm (cioè la camera dei deputati) stabilisce la propria sede a Varsavia, rendendola di nuovo degna di nota. Passano un centinaio di anni e il re Sigismondo completa l’en plein: decide che Varsavia è la città più figa di tutte e la nomina capitale, rubando il titolo a Cracovia.

Re Sigismondo, detto baffo ribelle.
Nel XVIII secolo la metropoli polacca se la passa alla grande. Si tirano su palazzi, si dipingono chiese e si decora tutto quanto in stile barocco.
Dal 1795, le cose a Varsavia smettono di andare bene.
La Polonia viene divisa a pezzetti e Varsavia finisce sotto l’Impero Russo, declassata a umile città di provincia. Ma Napoleone, che passa di lì per caso, crea il Ducato di Varsavia e la rinomina capitale. Passano due anni e la Russia se la riprende. Finita la Prima Guerra Mondiale, Varsavia viene nuovamente illusa di essere la capitale di una Polonia indipendente. I polacchi sono felici e costruiscono fabbriche e case.
Ma nel 1939 ecco che i tedeschi lanciano bombe e uccidono un sacco di gente. Poiché un terzo della popolazione era composta da ebrei, via ad arresti, deportazioni, esecuzioni. I polacchi provano più volte a ribellarsi, ma con scarso successo. Alla fine della seconda guerra mondiale, sono morti metà degli abitanti e non è crollato soltanto il 15% degli edifici.
La città si risolleva piano piano e dopo quarant’anni riesce finalmente a togliersi dalle palle i sovietici. Povera Varsavia no?
Un minestrone architettonico
Quando mi chiedono se Varsavia è bella, non so bene cosa rispondere. Innanzitutto dico che dipende dai gusti di ognuno, dopodiché spiego che è caratterizzata da stili architettonici tutt’altro che uniformi, un minestrone di cose belle e brutte.

Cose brutte tipo questi contenitori per uomini
Se la città vecchia (Stare Miasto, unica parola polacca che sono riuscita a memorizzare) rasa al suolo durante la guerra è stata ricostruita di recente esattamente com’era e pare quindi molto antica, i quartieri che si sviluppano tutt’intorno possono comprendere strutture moderne in vetro, palazzi gotici restaurati o affascinanti ecomostri di stampo sovietico.

Fast-food orientali in mezzo a palazzi sovietici.
Cose da fare, cose da vedere, cose da mangiare
Veniamo al vero motivo di questo articolo: cosa fare a Varsavia. Con il cinquantello di Natale rifilatomi dalla nonna, che in Italia spenderei nel giro di poche ore (per un maglione nuovo e due biglietti del cinema), ci ho campato tre giorni. Trattandomi da vera signora.
Il museo nazionale
Un po’ il Louvre polacco. Offre una vasta collezione di opere, dall’arte antica alla pittura polacca e straniera (tra cui, naturalmente, quella italiana) a oggetti vari di arti decorativa. In ogni sala c’è un magnifico esemplare di sorvegliante polacca: una donna imponente dal capello corto stile garçon, l’espressione severa propriamente sovietica, e un paio di conturbanti occhietti azzurri. La versione femminile di Walt Kowalski.
Mentre tu ammiri i quadri, lei ammira te. Ah, entrare costa uno Zloty (ovvero 0,22 centesimi di euro).
Piccolo negozio di antiquariato a Stare Miasto
Se sei naturalmente attratto dalle cose vecchie, sporche e ricche di storia, questo negozietto fa per te. Ci sono diversi oggetti di antiquariato abbastanza costosi. Ma tra un vecchio giradischi e un’hasselblad appartenuta alla prima moglie di Lenin, si trovano dei cassoni in cui sei libero di frugare. Se sei abbastanza in gamba, con qualche Zloty ti porti a casa magnifici cimeli sovietici quali spille, portachiavi o fotografie d’epoca.
I parchi e i giardini
Pattinare sulla pista dell’agorà di Milano è divertente. Pattinare su un lago ghiacciato in mezzo a un parco polacco è dieci volte meglio. E per chi non ha i pattini, si può sempre prendere la rincorsa e scivolare come imbecilli. Quando l’ho fatto, mi sono sentita in un episodio di Gilmore Girls, allegra quasi quanto gli abitanti di Stars Hollow quando escono in piazzetta a farsi gli auguri di Natale. E Varsavia di parchi ne ha parecchi. Nell’arco di pochi chilometri ci sono i Giardini Sassoni, il parco Lazienki e il magnifico parco Skaryszewski, più tanti altri dai nomi altrettanto impronunciabili. Naturalmente, entrare nei parchi è gratis.

Stars Hollow o meglio parco Skaryszewski.
Le latterie
Per la prima volta nella mia vita, fatta eccezione quando sono al ristorante ospite dei parenti, ho provato la giocondità di ordinare una serie di piatti dal menù senza preoccuparmi di dare un’occhiata al prezzo. Se sei uno studente economicamente disagiato come me, sappi che Varsavia è il posto ideale per sentirsi ricchi.
Cosa sono le latterie? Si tratta di locali in stile mensa dal gusto famigliare risalenti all’epoca comunista, in cui si servono ottimi piatti tradizionali. Sono posti frequentati da qualunque tipo di clientela, ti fanno sentire immerso nella Polonia più pura. Si chiamano latterie perché in origine servivano per lo più piatti a base di latticini e senza carne. Ora di carne ce n’è in abbondanza ed è buonissima.

Ma preferisco le zuppe. Adoro le zuppe.
Come funziona: alla cassa si ordina da un lunghissimo menù e si porta un bigliettino a una donna sporta da un’apertura nel muro. Mentre si aspetta la consegna dei piatti, un’incantevole apparizione: all’interno della cucina, una serie di donne agghindate di grembiuli colorati sgambettano indaffarate tra un pentolone e l’altro. Nei momenti vuoti, giocano alla settimana enigmistica accertandosi che nessun turista le stia fotografando a tradimento. Dopo aver fatto scarpetta in ogni piatto, si riconsegnano le stoviglie ad un’altra donna, solitamente posizionata all’interno di un’apertura più angusta.
D’inverno, le zuppe sono l’ideale per riacquisire sensibilità alle estremità del corpo. Dopodiché ci si può sfondare di carne, ravioli, verdure o fritture di ogni tipo. Tuttavia bisogna sapere che a Varsavia si può mangiare tanto, bene e spendendo poco anche nei locali all’apparenza più raffinati. Una peculiarità dei ristoranti polacchi è il tè caldo servito con un piccolo vasetto di marmellata, da usare come dolcificante al posto dello zucchero.
Il quartiere di Praga
Sicuramente il più hipster della città, il Greenwich Village di Varsavia. Un alternarsi di palazzi rimessi a nuovo ed edifici grigi e decadenti, la zona più ricca di strutture prebelliche. Vagando come un cane in cerca di cibo, ho scoperto che i cortili dei palazzi nascondono spesso dei piccoli mausolei colorati dedicati alla Madonna, con foto di Papa Wojtyla, rosari vari e cataste di fiori di plastica. Se sai apprezzare il kitch, ti piaceranno alla follia.

Kitch con la K maiuscola
In questa zona si trova il museo dei Neon, dove un gruppo di giovani hipster ha raccolto tutta una serie di vecchie insegne di cinema, stazioni ferroviarie o ristoranti. Il biglietto costa due zloty (50 centesimi).
La festa nazionale del pierogio gigante
Un’antica leggenda narra che il re Ludwik II, durante il suo regno, avesse indetto una grande gara culinaria per festeggiare il suo quarantesimo compleanno. Tutti i migliori chef maschi del regno uno contro l’altro, nella suggestiva location che era la piazza della città Vecchia, in stile Masterchef.
Boleslawa Wojciechowski, umile abitante del contado, si presentò alla gara travestita da uomo, e cucinò una sua invenzione, i pierogi, molto simili ai nostri ravioli. Cuore di squisita marmellata di mirtillo, ricoperti di una salsa al formaggio fresco. Quando il re passò ad assaggiare i piatti, rimase talmente sbalordito dai pierogi di Boleslawa che ne ordinò immediatamente un rifornimento a vita per le cucine reali.
Quando la donna vide la meraviglia del re, si spogliò della barba e degli abiti maschili e mostrò la sua vera identità. Il re, che si era sposato dieci anni prima con una donna brutta e noiosa, si innamorò all’istante di Boleslawa, si separò dalla moglie e la sposò. Il pierogio assunse dunque un ruolo simbolo nella lotta per l’emancipazione femminile e nella promozione della libertà in generale.

Pierogi fumanti dei giorni nostri.
Da allora, in memoria di quel gioioso giorno, sul fiume Vistula viene organizzata una manifestazione, forse la più importante dell’anno. Uno chef di fama internazionale è selezionato dal ministro della cultura per cucinare, assieme al suo team esperto, un pierogio gigante con ripieno a scelta, che deve raggiungere le dimensioni minime di quattro metri di altezza per tre di lunghezza. Una volta completato, viene trasportato su una zattera attraverso il fiume Vistula, in modo che tutti gli abitanti, radunati sulle sponde, possano festeggiarlo, cantando insieme “Oh Pierogio, alimento divino, Oh Pierogio, simbolo di libertà!”. Il pierogio gigante finisce nella piazza della città Vecchia, dove è spartito tra i partecipanti.
Anche se tutto ciò è assolutamente fasullo e sì, me lo sono inventato di sana pianta, non ti è venuta un’incontenibile voglia di pierogi?
Se arrivato a questo punto sei in grado di decretare con certezza che apprezzi il freddo e i suoi scenari malinconici, le zuppe e i loro vivaci colori, i palazzi brutti e quelli belli, i musei e i cimeli sovietici, forse è il caso di fiondarti su piratinvolo o su qualche sito per scrocconi e prenotare, no?
[Gloria Mottarelli]