Pensate che la Scozia si esaurisca con Braveheart, gli Iron Maiden e il giardiniere Willy dei Simpsons? Vi sbagliate di grosso. Le Highlands, la parte più a Nord del Regno Unito, sono tra i luoghi più suggestivi d’Europa. Viaggiarci significa catapultarsi in un contesto spazio-temporale completamente diverso dal solito.
Si può scegliere una vacanza in agosto, in un posto caldo e di mare, affollato, comodo e raffigurante sotto ogni aspetto il classico periodo di ferie estivo. Oppure si può attendere l’autunno, partire fuori stagione per un luogo fuori dal mondo, certamente meno comodo, probabilmente parecchio freddo: ad esempio, le Highlands scozzesi. Io sono tra quelli che scelgono la seconda delle due possibilità, senza nessun dubbio, con la fortuna di avere una ragazza abbastanza paziente da assecondarmi.
Non voglio annoiarvi con un elenco delle località visitate giorno per giorno, anche perché i nomi dei più famosi luoghi turistici, siano essi castelli, città o distillerie, si possono facilmente trovare online. Mi limiterò a raccontare quello che mi è rimasto davvero impresso. Bisogna chiarire subito una cosa: dire Scozia e dire Highlands significa riferirsi a due concetti ben diversi. La Scozia è ben noto a tutti cosa sia, le Highlands sono molto più difficili da descrivere, almeno per me. Geograficamente possiamo collocarle nella parte più settentrionale del Regno Unito, anche se per morfologia del territorio e scarsissima presenza umana assomigliano di più alla Scandinavia o all’Islanda.
Il modo migliore per visitarle è spostarsi in macchina. Noi ne abbiamo affittata una a Edimburgo e abbiamo preso a guidare senza una meta precisa, ma con in testa una direzione: Nord. Qui non è solo una direzione geografica, andarci significa allontanarsi dalla civiltà, dalla gente, dall’inquinamento, dai suoni delle città, dal cibo e dalla benzina facilmente reperibili, dalle zone wi-fi e dalla copertura di rete per i cellulari. Allo stesso tempo, significa addentrarsi in un paesaggio sempre più sorprendente dove l’orizzonte sembra essere più vasto e il cielo più vicino.
Tutta questa natura è descrivibile con tre colori: il verde, il marrone e il blu. Mentre la macchina viaggia, sempre e rigorosamente in contromano, troviamo pascoli verdissimi (in generale più a sud) che si mischiano a un terreno marrone tanto desolato quanto bello, e i locks (le chiuse) brillano disordinati come perle gettate dall’alto. Forse dovrei anche menzionare il bianco delle migliaia di pecore onnipresenti in tutto il territorio, ed è senz’altro bizzarro come nonostante le migliaia incontrate, non abbiamo mai visto o perlomeno percepito la presenza di un pastore. Qui tutto assume una connotazione selvaggia, persino le mucche (ne esiste una specie autoctona) hanno un aspetto quasi mitologico, con un pelo lungo rossastro e capigliature da rockstar. I piccioni, che sono una costante ovunque, anche a Edimburgo, sono sostituiti da uccelli neri (corvi?) grossi il doppio. In una spiaggia qualsiasi della costa più settentrionale si possono trovare foche che chiacchierano sulla battigia, con la massima naturalezza.
La strada è una biscia di cemento sottile, per lo più a una sola corsia, con slarghi qua e là per fermarsi e far passare chi viene in direzione opposta, anche se in mezzo alla carreggiata è molto più probabile trovare una pecora che dorme che un’altra automobile, motivo per cui è bene guidare senza fretta, godendosi il paesaggio mozzafiato circostante. Di tanto in tanto compaiono alcuni oggetti, apparentemente del tutto fuori luogo, come cabine telefoniche (di quelle rosse tanto care ai turisti a Londra) e persino una barca di legno tipo gozzo, dimenticata lì da chissà quanto.
I centri abitati, specie da Inverness in poi, sono radi e di modeste dimensioni, e gli alberghi sono pressoché inesistenti, per dormire ci siamo quasi sempre affidati a gente del posto che adibisce la casa (o ancora meglio la fattoria) a bed and breakfast, con camere alla buona e colazioni spettacolari a 4 portate. Per quanto la vera bellezza del luogo sia fuori dai centri abitati, sicuramente meritano di essere visitati Portree, principale insediamento dell’isola di Skye, e Plockton, dove ho bevuto la birra più mistica della mia vita, davanti a una baia che sembra un quadro, con il fango della bassa marea e le barchette da pesca sopra adagiate.
In mezzo a tutto questo però, la più incredibile impronta umana è data dai numerosissimi castelli (per lo più diroccati), testimoni di centinaia di anni di storia e di violenza tra i clan locali. Tra i tanti che abbiamo incontrato, nessuno regge il confronto con Dunnotar: tra le macerie avvolte nella nebbia che sale dal mare del nord, in cima a una scogliera a strapiombo, si può davvero percepire come mai la Scozia sia famosa per le storie di fantasmi. Sono molte le leggende agghiaccianti riferite a questo luogo, ed è fatto storico come William Wallace (Mel Gibson in Braveheart) abbia qui dato fuoco ad una cappella piena di soldati inglesi all’interno.
Se è vero che per capire un territorio bisogna conoscerne almeno approssimativamente la storia, Culloden è il posto giusto per respirarla. Qui sono sepolti centinaia di Highlanders che circa trecento anni fa, mezzo millennio dopo William Wallace, provarono per l’ultima volta a scacciare con le spade gli inglesi armati già di artiglieria. Pur da stranieri ed estranei a questa storia, non si può rimanere indifferenti passeggiando sul pianoro che fu campo di battaglia, tra le numerose lapidi con incisi tutti i “Mac” che presero parte al combattimento.
Le Highlands sono molto più di una porzione geografica di Scozia. Rappresentano un viaggio in uno spazio-tempo molto diverso dal nostro di tutti i giorni, dove ancora è possibile guardare l’orizzonte a perdita d’occhio in ogni direzione e non vedere altro che terra, cielo e pecore, senza nemmeno l’ombra dell’impronta dell’uomo.
[Enrico Pasquale]