Prima del movimento della street art, prima delle mostre degli artisti, prima dei festival, prima di Bansky e Obey, esisteva il writing, esistevano le jam, la cultura hip hop ancora poteva chiamarsi tale e i centri sociali erano i primi “musei pubblici” dove ammirare opere e scritte di giovani ragazzi con in mano una bomboletta. In questo scenario, nei primi anni 2000, nasceva a Milano la VolksWriterz crew.

 

Continua il viaggio di YURY nel mondo della street art. Dopo Genova, il Lazio e le Marche, arriviamo anche a Milano per approfondire la storia e l’attività di VolksWriterz, una delle crew storiche della città meneghina, che ha lasciato proprie opere ovunque, dal Nord al Sud della nostra penisola, dalla Palestina all’Africa, dalla Mongolia alla Norvegia, fino ad arrivare alla mecca europea della graffitismo, la fantastica Berlino. Racconti di writing e attivismo politico, di Milano e dei suoi figli “ribelli” in un’intervista che ci hanno eccezionalmente concesso.

L’intervista

Non so da dove incominciare con voi. Facciamo che innanzitutto vi presentate ai lettori di YURY magazine?

“VolksWriterz nasce a ridosso delle giornate del G8 genovese nel 2001. Già da qualche anno, in base alla nostra sensibilità di militanti delle realtà autogestite milanesi, come writer ci eravamo sempre messi a disposizione delle diverse strutture quando si trattava di dipingere la facciata di uno spazio o eventualmente realizzare dei murales politici in giro per la città. In occasione dell’omicidio di Carlo Giuliani e della rabbia che ci portavamo dentro da quelle giornate, abbiamo deciso di realizzare un enorme blocco davanti al LSOA Deposito Bulk. Insieme al ritratto di Carlo campeggiava la scritta ‘No Justice No Peace’. Se nelle nostre esperienze da writer precedenti il concetto di crew era sempre qualcosa di chiuso e definito, in questa occasione abbiamo sviluppato un nuovo concetto dando vita ai VolksWriterz, che tradotto sarebbe “I Writer del Popolo”, in cui al centro del progetto c’era l’azione stessa. Lo spirito che negli anni ha sempre contraddistinto quest’esperienza era quello della condivisione e della partecipazione, insomma… un VolksWriter è quello che partecipa alla realizzazione dei pezzi e si sporca e dipinge così come facciamo noi: in sostanza una sorta di crew “aperta”. Nell’arco degli anni naturalmente si è venuto a creare un nucleo di alcune persone a cui poter fare riferimento in termini organizzativi, ma i principi alla base del progetto rimangono gli stessi”.

Siete nati in un contesto storico di un’Italia ancora libera da razzismo politico, effervescenza di movimenti sia politici che culturali, aggregazione totale e alternativa a quella attuale. Quanto era diversa Milano a i tempi?

“La Milano di inizio millennio era una città che arrivava sì dalla forte crescita del movimento degli spazi occupati negli anni ’90, ma allo stesso tempo era già la roccaforte del berlusconismo e del leghismo più becero. Se da una parte c’era ancora la forza propulsiva delle controculture (writing e successivamente street art in particolare), si iniziava già a vedere quel percorso che avrebbe trasformato la città nel deserto culturale. Un aspetto che va sottolineato è che, soprattutto negli anni bui successivi all’omicidio di Dax e della mattanza all’ospedale San Paolo, la nostra presenza sui muri è stata un modo per difendere tutto il nostro immaginario di valori e di lotte e resistere ai cambiamenti radicali della città. Abbiamo visto chiudere e recintare parchi e piazze, abbiamo assistito alla cancellazione di tutte quelle realtà di aggregazione giovanile spontanea che esistevano ancora a Milano, abbiamo sentito parlare di guerra ai graffiti e di taglie sui writer. Sono stati anni decisamente duri da questo punto di vista”.

Voi che siete nell’ambiente milanese da un vita, ci fareste una breve lezione sul movimento cittadino milanese, sulle altre crew e sulle zone della città?

“Breve è un parolone… Milano è una delle città italiane con una lunga e complessa evoluzione a livello di writing. Fin dagli anni ’80 c’è stato un movimento composto da crew che hanno fatto la storia di questa cultura, in Italia e non solo, fino alla vera e propria esplosione a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi duemila dove in città c’era davvero un vero e proprio esercito di pazzi con le bombolette. Se facevi un giro all’ombra della Madunina in quel periodo ti rendevi conto di come la città fosse completamente bombardata: blocchi da 5/6 argenti in centro, le linee delle FN, delle FS e della metro sistematicamente tappezzate di pezzi, tetti, lungolinea ferroviari… si può dire che la città da questo punto di vista era in mano ai writer. Se poi avete intenzione di approfondire la storia della nostra città ci sono delle ottime risorse online come wildstylers.com o pezzate.wordpress.com, dove troverete delle vere e proprie chicche!”.

A Genova siete stati innumerevoli volte, per voi questa è un po’ una seconda casa. Ci ricordate che cosa avete realizzato nel capoluogo ligure?

“Con Genova abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto. Abbiamo sempre risposto agli inviti che ci venivano fatti dalle diverse realtà cittadine, che si trattasse di centri sociali, di iniziative in strada o dei lavoratori del porto. Abbiamo sempre trovato un bellissimo ambiente, delle persone vere e speciali con cui negli anni abbiamo cementato delle amicizie importanti. Tra le tante volte che siamo scesi a dipingere ricordiamo in particolare il pezzo dedicato a Claudio ‘Spagna’ Spagnolo a Sampierdarena e la murata dedicata al Console alla Chiamata del Porto. Per il resto vi lasciamo il divertimento di scoprire dove trovare qualche altro intervento meneghino tra i carruggi della vostra bellissima città”.

Anche voi, come la maggior parte degli artisti che hanno avuto una “carriera” siete arrivati ad avere le prime mostre, i primi lavori dal Comune, le prime commissioni private. Raccontateci un po’…

“Essendo in realtà in parecchi all’interno del progetto, ognuno ha scelto il suo percorso artistico seguendo la propria sensibilità. Negli anni tanti di noi hanno partecipato a mostre personali e collettive, dagli spazi occupati alle gallerie d’arte. Certo una volta facevi le commissioni per tirarti su i soldi per le bombole, oggi di sicuro c’è chi ha sviluppato un suo linguaggio artistico che ha tutta la dignità di confrontarsi con quello che viene prodotto da questo movimento a livello globale”.

Avete girato il mondo, quali sono state le esperienze che vi hanno lasciato più il segno, quei luoghi, persone, atmosfere che vi rimarranno per sempre dentro?

“Una delle esperienze che ci ha arricchito di più è stata indubbiamente l’occasione di dipingere in Palestina, dal campo profughi di Jenin ai workshop organizzati con i bambini. Per il resto, ogni viaggio è sempre stato una splendida occasione di contaminazione umana e artistica, un confronto con culture e mondi diversi. E a distanza di tanti anni possiamo dire che questo è uno dei cardini su cui ruota tutta la nostra attività di writers, street artists e muralisti”.

Qual è il futuro della scena writing?

“Il futuro della scena writing crediamo risieda in quell’emozione che prova un ragazzino quando prende in mano per la prima volta una bombola e scrive qualcosa su un muro o un treno. Sono 40 anni che alla base della diffusione e della crescita di questo grandissimo movimento c’è questo elemento di riappropriazione di spazi e di bisogno di libertà. Confidiamo che nel futuro saranno le stesse sensazioni a fare da benzina per un motore che per il momento sembra non perdere colpi”.

Grazie per il vostro tempo, continuate a dipingere il mondo!

VolksWriterz, storia d’amore tra Milano e i suoi figli ribelli ultima modifica: 2014-11-07T19:24:45+00:00 da Andrea Pioggia